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La necessità dell’assetto teorico nell’avanguardia della classe operaia
di Manuel Santoro
Le operaie e gli operai vogliono e chiedono a gran voce l’unità delle forze socialiste e comuniste, e hanno ragione. Ma cosa significa unire i comunisti e/o i socialisti? Non significa quasi nulla se non si entra nel merito dell’impostazione teorica su cui ergere il futuro partito, e da cui deriveranno poi le indicazioni tattiche per la lotta politica. Questo intervento vuole essere un contributo sulla corretta impostazione delle fondamenta teoriche necessarie per il sano sviluppo del partito, ovvero dell’avanguardia della classe operaia.
Iniziamo con l’affermare che oltre alla lotta politica ed economica, esiste la lotta teorica la quale è prioritaria e più di alto livello, più ‘fondativa’ rispetto alle altre due tipologie di lotta di classe. La lotta teorica non avviene solo al di fuori del partito contro i partiti borghesi oppure contro le pulsioni reazionarie delle società capitalistiche, ma soprattutto dentro il partito, il ché causa l’emersione di rischi che il processo unitario, e il partito costituito dopo, devono assolutamente minimizzare. Secondo Engels, come Lenin riporta, “esistono non due forme della grande lotta socialdemocratica (politica ed economica) - come si pensa abitualmente fra noi -, ma tre, ponendosi accanto a queste anche la lotta teorica.”[1] E solo una corretta impostazione teorica del partito, con gli annessi processi educativi, istruttivi e organizzativi delle compagne e dei compagni, può minimizzare la comparsa di metastasi revisioniste ed opportunistiche all’interno dell’organizzazione. La lotta teorica interna al PC(b) dell’URSS sin dai tempi della sua fondazione, per esempio, ci deve essere di insegnamento. L’obiettivo, in definitiva, è definire ed applicare gli strumenti necessari per cementificare l’unità teorica e organizzativa del partito unitario.
In un partito già costituito, soprattutto in un grande partito di un grande Paese industrializzato, le forze disgreganti del revisionismo e dell’opportunismo già presenti all’interno poiché marginali, se non addirittura inesistenti, sono i filtri e i controlli per l’accettazione della militanza, creano un grosso problema ‘esistenziale’ che richiede sempre una estenuante lotta teorica interna per poter avanzare con decisione verso l’emancipazione reale della classe operaia. In agguato c’è sempre la reazione interna e l’indietreggiamento teorico. Con ciò mi preme affermare che il processo unitario deve prevenire un miscuglio confuso di posizioni teoriche inconciliabili ed emergere con una chiara e cristallina piattaforma teorica. E la militanza tutta deve essere assolutamente compatibile con tale piattaforma. Il compagno Stalin affermava che “se in un piccolo partito di un piccolo Paese, in un modo o nell’altro le divergenze possono essere nascoste avvalendosi del prestigio di una o di parecchie persone, in un grande partito di un grande Paese lo sviluppo attraverso il superamento delle contraddizioni [di principio, o teoriche] costituisce un elemento inevitabile per l’incremento e il rafforzamento del partito.”[2]
Fortunatamente, siamo però all’interno di un processo unitario e siamo, quindi, avvantaggiati poiché abbiamo la possibilità e il dovere di partire con il piede giusto. La lotta teorica avviene in questo caso non dentro il partito, poiché non esiste ancora, ma nelle discussioni per la sua formazione. All’interno cioè del processo unitario. Engels, nella sua lettera a Bernstein del 20 Ottobre 1882, afferma che “il partito tedesco è diventato quello che è attualmente nella lotta fra gli eisenachiani e i lassalliani [3], dove persino le baruffe ebbero una funzione importante. L’unificazione divenne possibile soltanto quando la banda di mascalzoni, educata appositamente da Lassalle per servirgli da strumento, si fu logorata, ma anche allora i nostri [gli eisenachiani] acconsentirono troppo affrettatamente in questa unificazione. In Francia, coloro che pur avendo abbandonato la teoria bakuniana continuano tuttavia ad adoperare mezzi bakuniani di lotta e, nello stesso tempo, a sacrificare il carattere di classe del movimento ai propri scopi particolari, devono anch’essi logorarsi prima che l’unificazione diventi nuovamente possibile. Predicare l’unificazione in simili circostanze sarebbe pura follia.”
È evidente che il chiarimento teorico, prima che politico, sia fondamentale e necessario. L’obiettivo dopotutto è arrivare al socialismo, alla conquista del potere da parte della classe operaia e instaurare la dittatura del proletariato. Bisogna, quindi, essere teoricamente precisi!
Per raggiungere gli obiettivi sopra menzionati, l’unificazione deve avvenire sulla piattaforma marxista-leninista e, come naturale conseguenza, anti-troskista, e il compito del partito, ovvero dell’avanguardia della classe operaia, dovrà essere duplice: educare e organizzare. Il ruolo del partito dovrà essere centrale nell’educazione dei militanti e nell’organizzazione del lavoro teorico-politico. Naturalmente, le pulsioni revisioniste e opportunistiche rimangono sempre in agguato e con estrema facilità pervadono le menti e le anime di chi è sprovvisto di una forte e chiara impostazione teorica e di chi è troppo slegato dai meccanismi del capitale. Chi cioè non viene direttamente schiacciato dalla ferocia del capitale.[4] Dobbiamo, ahimè, ammettere che la confusione teorica, base di tutti i mali, non è solo una malattia che vive e si radica al di fuori delle comunità politico-partitiche socialiste e comuniste, ma si ramifica, proliferando con crescente velocità, anche tra troppe compagne e compagni. Costatiamo questo dato con estrema chiarezza e lo monitoriamo da tempo.
Ma cosa è il socialismo? “Il socialismo è la soppressione delle classi”[5]; “il compito del socialismo è distruggere le classi.”[6]
Il faro del processo unitario è il socialismo scientifico; la classe operaia guidata dal partito ha l’obiettivo politico di raggiungere la società socialista e la dittatura del proletariato. Il socialismo in quanto prima fase del comunismo “è ugualmente inconcepibile senza il dominio del proletariato nello Stato.”[7]
Il socialismo, in definitiva, è la società in cui tutti i mezzi di produzione sono di proprietà comune, da un punto di vista economico, e lo Stato è in mano alla classe lavoratrice, da un punto di vista politico. Ed è qui che si intensifica la lotta di classe diventando esponenzialmente cruenta e violenta, poiché è qui, nel socialismo che, passando dalla dittatura della borghesia alla dittatura del proletariato, si intensifica la lotta reazionaria da parte degli ex proprietari dei mezzi di produzione e delle forze imperialiste internazionali le quali accorrono in soccorso degli espropriati. Abbiamo già visto questo film nella storia scritta dell’umanità; nel 1918 quando 14 nazioni imperialiste decisero di entrare a pieno titolo nella guerra civile russa per riportare al potere gli espropriati dei mezzi di produzione e i loro referenti politici. L’obiettivo del socialismo nel nostro Paese deve essere scolpito sulla pietra. Il socialismo è comunque un processo storico lungo, anche molto lungo, poiché “non è possibile eliminare le classi di colpo. E le classi sono rimaste e rimarranno durante l'epoca della dittatura del proletariato. Il giorno in cui le classi spariranno la dittatura sarà inutile. Esse non spariranno senza la dittatura del proletariato. Sono rimaste le classi, ma nell’epoca della dittatura del proletariato il carattere di ogni classe si è mutato, e si sono mutati anche i rapporti reciproci fra le classi. Durante l’epoca della dittatura del proletariato la lotta di classe non sparisce, ma assume unicamente altre forme.”[8]
La comprensione di tutto ciò rimane in carico alle operaie e agli operai, nella speranza che i più coscienti e i più preparati si adoperino con abnegazione nella guida del partito unitario, evitando rovinose cadute revisioniste. La classe operaia, più di qualsiasi altra classe, ha capacità intrinseche rivoluzionarie poiché, più di ogni altra classe, è a diretto contatto con l’oppressione quotidiana della produzione capitalistica. Passaggio chiaro al giovane Marx il quale comprendeva come l’emancipazione reale delle operaie e degli operai è condizione necessaria per l’emancipazione reale delle donne e degli uomini: “dal rapporto del lavoro estraniato con la proprietà privata segue inoltre che l’emancipazione della società dalla proprietà privata, ecc., dalla schiavitù si esprime nella forma politica dell’emancipazione degli operai, non già come se si trattasse soltanto di questa emancipazione, ma perché in questa emancipazione è contenuta l’emancipazione universale dell’uomo; la quale è ivi contenuta perché nel rapporto dell’operaio con la produzione è incluso tutto intero l’asservimento dell’uomo, e tutti i rapporti di servaggio altro non sono che modificazioni e conseguenze del primo rapporto.”[9]
[1] V. Lenin, Che fare?, Milano, edizioni Lotta Comunista, 2015, p. 66
[2] J. Stalin, Rapporto alla VII sessione plenaria del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista (1926), edizioni Rinascita, Opere Complete, vol. 9, 1955
[3] Le due organizzazioni si fusero nel Congresso di Gotha del 1875 [Marx ne criticò a fondo il Programma] e costituirono il Partito Socialdemocratico Tedesco.
[4] Su questo punto è utile il passaggio di J. Stalin sull’eterogeneità della classe operaia. Rapporto alla VII sessione plenaria del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista (1926), edizioni Rinascita, Opere Complete, vol. 9, 1955
[5] V. Lenin, Economia e politica nell'epoca della dittatura del proletariato, Roma, Editori Riuniti, 1919, p. 88
[6] V. Lenin, III Congresso dell’internazionale comunista, Roma, Editori riuniti, 1967, p. 427
[7] V. Lenin, Sull’imposta in natura, Editori Riuniti, opere complete, vol.32, 1967, p. 309
[8] V. Lenin, Economia e politica nell'epoca della dittatura del proletariato, Roma, Editori Riuniti, 1919, p. 88
[9] K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 2004, p. 80