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Stalin: anarchia, forze produttive e dialettica In evidenza
Continuiamo la nostra serie di lezioni sul testo di Stalin, “Anarchia o Socialismo?”, parte dei lavori dei nostri seminari di approfondimento dal titolo “Dialogando con Stalin”. La scorsa volta abbiamo introdotto un po’ di nozioni assolutamente fondamentali per qualsiasi operaio cosciente; oggi continueremo su questa strada.
Riprendiamo da ciò che abbiamo detto su Hegel. Da una parte il suo sistema idealistico; dall’altra il suo metodo dialettico. Si trattava di liberare il metodo dialettico dalla gabbia idealistica e traferirla nella concezione materialistica della natura e della storia. Come riportato la scorsa volta, da una parte abbiamo il sistema hegeliano fondato sull’Idea, sul processo del pensiero che modella il reale; dall’altra parte abbiamo il metodo dialettico di Hegel.
Video-lezione disponibile sul canale YouTube della Scuola Rossa: https://youtu.be/tQG_gBCuMHM?si=sspAXisSvaSwDihf
Scrive Engels che
coloro che davano importanza soprattutto al sistema di Hegel, potevano essere, tanto in religione che in politica, conservatori; coloro per cui l’essenziale era il metodo dialettico, potevano appartenere, tanto in religione che in politica, all’opposizione estrema.
Ecco quindi la prima questione che Stalin spiega nel suo testo. Ovvero,
come considerano gli anarchici il metodo dialettico?
Scrive Stalin che
tutti sanno che il fondatore del metodo dialettico è stato Hegel. Marx ha epurato e migliorato questo metodo. Certo [continua] Stalin, questa circostanza è nota agli anarchici. Essi sanno che Hegel era un conservatore e, approfittando dell’occasione, attaccano Hegel su tutta la linea, come fautore della “restaurazione”.
[Continua Stalin] A dire il vero, su questo punto nessuno è in dissenso con loro, anzi tutti convengono che Hegel non era un rivoluzionario.
Difatti sono proprio Marx ed Engels i primi a rimarcare come “coloro che davano importanza soprattutto al sistema di Hegel, potevano essere, tanto in religione che in politica, conservatori”, reazionari. Ma non è ciò che gli anarchici intendevano. Essi estendevano l’opinione di un Hegel “fautore della restaurazione”, considerando il sistema hegeliano, a tutto Hegel, di fatto screditandolo e con lui, screditando il metodo dialettico che, invece, come abbiamo riportato da Engels, rimane rivoluzionario, scientifico.
Scrive Stalin che così facendo gli anarchici
non dimostrano altro che la loro ignoranza. Pascal e Leibniz non erano rivoluzionari, ma il metodo matematico da essi scoperto è ora riconosciuto come metodo scientifico. Mayer e Helmholtz non erano rivoluzionari, ma le loro scoperte nel campo della fisica stanno alla base della scienza. Neppure Lamarck e Darwin [continua Stalin] erano rivoluzionari, ma il loro metodo evoluzionista ha messo in piedi la scienza biologica. Perché dunque [si domanda Stalin] non si deve riconoscere il fatto che Hegel, nonostante il suo conservatorismo, è riuscito ad elaborare il metodo scientifico chiamato dialettico?
Consideriamo, quindi, il sistema hegeliano, l’idealismo, da una parte; il metodo dialettico dall’altra. Per dettagli vi invito a vedere il nostro prima video su “Anarchia o Socialismo?” dal titolo “Riformisti, opportunisti, anarchici e altri con idee confuse”.
In questo primo video abbiamo esposto nuovamente in dettaglio le differenze tra metafisica e dialettica, tra idealismo e materialismo e di come la dialettica abbia de facto sostituito la metafisica come modo di investigare e conoscere gli oggetti e i fenomeni della natura e della storia del mondo, in quanto metodo opposto e rivoluzionario; così come il materialismo abbia sostituito l’idealismo come modo di interpretare gli oggetti e i fenomeni della natura e della storia del mondo. Il trasferimento del metodo dialettico nella concezione materialistica della natura e della storia chiude il cerchio. Il materialismo dialettico e il materialismo storico ci consentono di conoscere, investigare e interpretare la natura e la storia della società. Ed è quindi illogico affermare, come fanno gli anarchici, che la dialettica sia metafisica. Ciò è ovviamente falso.
Abbiamo detto precedentemente che la dialettica andava sostituendo la metafisica secondo cui gli oggetti e i fenomeni della natura sono invece fissi, fermi, immobili, immutabili. Non è così per la dialettica.
Scrive Engels nel suo “Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca” che
la vera importanza e il carattere rivoluzionario della filosofia hegeliana [il suo metodo] consistevano nel fatto che essa poneva termine una volta per sempre al carattere definitivo di tutti i risultati del pensiero e dell’attività umana. La verità che si doveva conoscere nella filosofia era per Hegel non più una raccolta di proposizioni dogmatiche bell’e fatte che, una volta trovate, volevano essere solo imparate a memoria; la verità risiedeva ormai nel processo della conoscenza stessa, nella lunga evoluzione storica della scienza, che dai gradi inferiori si erge ai gradi superiori, senza però giungere mai, attraverso la scoperta di una cosiddetta verità assoluta, al punto in cui non può più avanzare.
Riprendiamo anche qui ciò che rimarca Engels nell’Antiduhring, ovvero che
per il metafisico le cose e le loro immagini riflesse nel pensiero, i concetti, sono oggetti isolati di indagine, da considerarsi successivamente e indipendentemente l'uno dall'altro, fissi, rigidi, dati una volta per sempre. Egli pensa per antitesi assolutamente immediate. Il suo parlare è: sì, sì, no, no. Per lui una cosa esiste o non esiste; ugualmente è impossibile che una cosa sia nello stesso tempo se stessa ed un'altra. Positivo e negativo si escludono reciprocamente in modo assoluto; causa ed effetto stanno dal pari in rigida opposizione reciproca.
La dialettica invece è movimento, un perpetuo nascere e perire, uno sviluppo che passa da cambiamenti quantitativi e cambiamenti qualitativi, e le cui contraddizioni interne vengono risolte. Calata allo studio della storia delle società,
la storia non può trovare una conclusione definitiva in uno stato ideale perfetto del genere umano. Una società perfetta, uno “Stato” perfetto sono cose che possono esistere soltanto nella fantasia; al contrario [ci dice Engels] tutte le situazioni storiche che si sono succedute non sono altro che tappe transitorie nel corso infinito dello sviluppo della società umana da un grado più basso a un grado più elevato.
Le diverse società che si sono succedute fanno parte di questo sviluppo, che è sviluppo dei modi di produzione. Dalla società comunistica primitiva, alle società divise in classi sociali antagoniste: quella antica, poi quella feudale, quella capitalistica e a seguire la società socialista. Cambiando il modo in cui si produce, e nella produzione, lo scambio, si modifica la sovrastruttura. Modificando i rapporti sociali di produzione, e di proprietà che è un equivalente giuridico, si vanno modificando i pensieri, la morale, i comportamenti. Come riporta anche Stalin
la dialettica dice che al mondo non c’è nulla di eterno, al mondo tutto passa e si trasforma; muta la natura, muta la società, mutano gli usi e i costumi, mutano i concetti della giustizia, muta la verità stessa: la dialettica considera perciò tutto criticamente, perciò nega una volta per sempre anche la verità stabilita. La metafisica invece [continua Stalin] dice tutto il contrario. Per essa il mondo è qualcosa d’eterno e d’immutabile; è una volta per sempre determinato da qualcuno o da qualcosa: ecco perché i metafisici hanno sempre sulla bocca la “giustizia eterna” e la “verità assoluta”.
Lo sviluppo è anche però fatto di cambiamenti quantitativi e cambiamenti qualitativi, come abbiamo detto in passati appuntamenti e ciò implica che ogni fase, ogni stato è sia necessario che giustificato, e che tale necessità e giustificazione è, come riporta Engels nel suo Ludwig Feuerbach,
per il tempo e per le circostanze a cui deve la propria origine, ma diventa caduta e ingiustificata rispetto alle nuove condizioni, più elevate, che si sviluppano a poco a poco nel suo proprio seno; essa deve far posto a una tappa più elevata, che a sua volta entra nella serie della decadenza e del tramonto.
Oppure, che è tra l’altro equivalente, come dice Marx nella prefazione alla Critica dell’Economia politica,
una formazione sociale non perisce finché non siano sviluppate tutte le forze produttive per la quale essa offra spazio sufficiente; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza.
Non andiamo oltre. Tratteremo più in là delle “contraddizioni della vita materiale”, del conflitto esistente tra le forze produttive della società e i rapporti sociali di produzione. Ma per ora rimaniamo sul confronto tra metafisica e dialettica. Per dare maggiore risalto alla differenza esistente tra il passato e il futuro, tra la metafisica e la dialettica, riprendiamo Engels il quale nel suo Ludwig Feuerbach scrive che
come la borghesia, mediante la grande industria, la concorrenza e il mercato mondiale, dissolve praticamente tutte le vecchie, stabili e vulnerabili istituzioni, così questa filosofia dialettica dissolve tutte le rappresentazioni di verità assoluta, definitiva, e di corrispondenti condizioni umane assolute. Per questa filosofia [per la dialettica] non vi è nulla di definitivo, di assoluto, di sacro; di tutte le cose e in tutte le cose, essa mostra la caducità, e null’altro esiste per essa all’infuori del processo ininterrotto del divenire e del perire, dell’ascensione senza fine dal più basso al più alto.
In definitiva, la metafisica, al contrario della dialettica, rimane fedele ai dogmi, alle certezze assolute, alle verità assolute. Alla giustizia divina. La dialettica demolisce queste credenze. Applicata allo studio della storia della società, un approccio metafisico implicherebbe la staticità di una strutta sociale, immutabile nel tempo, per sempre. La stessa società (e poi quale se non quella dove la metafisica si è sviluppata) per l’eternità. Ma noi sappiamo che ciò è falso e che le società cambiano poiché cambia come si produce, e con la produzione, come si scambia.
Scrive Engels che
prima di poter indagare i processi bisognava sottoporre a indagine le cose. Prima che si potessero constatare i cambiamenti che si producono in una cosa qualunque, bisognava incominciare a sapere che cosa è questa cosa. E così fu nelle scienze naturali. La vecchia metafisica, che considerava le cose come compiute in se stesse, sorse da una scienza naturale che indagava le cose vive e le cose morte come cose compiute in se stesse. Ma quando questa indagine fu andata tanto lontano che fu possibile il progresso decisivo, il passaggio all’indagine sistematica delle modificazioni che queste cose subiscono nella natura stessa, allora suonò anche nel campo filosofico l’ultima ora della vecchia metafisica.
Quindi, sintetizzando in modo tale da comprendere il nocciolo della questione:
le scienze naturali furono fino alla fine del secolo scorso [XVIII] scienze di cose compiute in se stesse [ci dice Engels nel Ludwig Feuerbach]; nel nostro secolo [XIX] la scienza è essenzialmente scienza dei processi, dell’origine e della evoluzione delle cose e del nesso che unisce tutti i processi naturali in un gran tutto.
In altre parole, la metafisica del XVIII secolo con le cose immutabili, inconoscibili, con le cose “in sé” al seguito delle scienze naturali di cose compiute in se stesse, lascia il passo alla dialettica del secolo dopo, il XIX secolo, con il suo movimento, nascere e perire, dei cambiamenti quantitativi e qualitativi, della risoluzione delle contraddizioni materiali al seguito della scienza dei processi, dell’origine e dell’evoluzione delle cose e del nesso che unisce tutti i processi naturali.
Abbiamo visto l’altra volta come Stalin, nel suo lavoro, abbia rimarcato come
l’evoluzione prepara la rivoluzione e crea ad essa il terreno, e la rivoluzione è il coronamento dell’evoluzione e contribuisce al suo lavoro ulteriore.
Cosa dice Marx, associando il concetto di evoluzione-rivoluzione alla produzione? Dice che, prima di tutto,
nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive… [e che] a un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti sociali di produzione esistenti…e allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale.
Oppure in altre parole, trasformati, sviluppati i mezzi materiali di produzione, e con esse le forze produttive, all’interno di determinati rapporti sociali di produzione, tali rapporti ad un certo punto dello sviluppo delle forze produttive risultano obsoleti e l’evoluzione della società diventa inevitabile e del tutto necessaria. Dal manifesto del partito comunista, infatti, Marx ed Engels ci ricordano che
i mezzi di produzione e di scambio sulla cui base si è formata la borghesia furono prodotti nella società feudale. A un certo stadio di sviluppo di questi mezzi di produzione e di scambio, i rapporti all’interno dei quali la società feudale produceva e scambiava, vale a dire l’organizzazione feudale dell’agricoltura e di manifattura, in una parola i rapporti feudali di proprietà, non corrisposero più alle forze produttive ormai sviluppatesi. Inceppavano la produzione invece di promuoverla. Si erano trasformati in altrettante catene. Esse dovevano essere spezzate e furono spezzate.
I rapporti sociali di produzione, i rapporti di proprietà tipici di una determinata società ormai obsoleta vengono sostituiti da rapporti di produzione che corrispondono al carattere delle forze produttive sviluppatesi. Se alla società borghese o capitalistica dovrà seguire la società socialista, ciò significa che l’evoluzione, la maturazione delle forze produttive, avverrà (e ciò è già avvenuto da tempo) dentro la società borghese, ovvero dentro i rapporti di produzione capitalistici. Il cortocircuito tra le moderne forze produttive e gli arcaici rapporti sociali di produzione borghesi è già realtà. Si tratta ora di spezzare le catene che non sono altro che questi rapporti di produzione affinché nuovi rapporti di produzione siano in sintonia con il grado di sviluppo delle forze produttive.
Come riporta Stalin,
secondo Marx ed Engels, la rivoluzione si compie solamente quando le forze produttive sono abbastanza mature.
Per approfondire la questione della produzione, e nella produzione, lo scambio dei beni di sussistenza ci rifacciamo a una domanda che Stalin si fa nella “Storia del partito comunista bolscevico dell’Urss”. Certo, questo testo è preparato dalla commissione incaricata dal comitato centrale ma tale commissione è comunque guidata da Stalin. La domanda è la seguente:
qual è dunque, nel sistema delle condizioni della vita materiale della società, la forza principale che determina la fisionomia della società, il carattere del regime sociale, lo sviluppo della società da un regime all’altro?
La risposta è nell’applicazione del materialismo dialettico allo studio della storia delle società, ovvero del materialismo storico. Difatti, scrive la commissione che
il materialismo storico considera che questa forza è costituita dal modo con cui si ottengono i mezzi di sussistenza, necessari per la vita degli uomini, dal modo di produzione dei beni materiali - alimenti, indumenti, scarpe, abitazioni, combustibili, strumenti di produzione, ecc. - necessari perché la società possa vivere e svilupparsi.
La produzione, quindi, “il come si produce” guida il movimento, il costante nascere e perire delle società. Ma se volessimo immaginare la produzione come una medaglia, si potrebbe allora considerare una sua faccia con le cosiddette “forze produttive”, e con l’altra faccia “i rapporti sociali di produzione”. Stiamo qui cercando di semplificare in modo tale da rendere assimilabile l’esposizione di un concetto fondamentale quale appunto “la produzione, e nella produzione, lo scambio” dei beni di sussistenza.
Consideriamo, quindi, compagni “le forze produttive” e “i rapporti sociali di produzione” come due aspetti della produzione.
Le forze produttive sono costituite dai mezzi di produzione necessari per la produzione appunto dei beni di sussistenza; dalle donne e dagli uomini che usano tali strumenti di produzione e producono i beni di sussistenza; e dalla conoscenza, dall’esperienza, dalle abitudini del lavoro che consentono a queste donne e questi uomini di produrre i beni si sussistenza. Ma cosa sono questi beni di sussistenza? Sono quei beni che ci consentono di vivere, quei beni (come appena riportato da Stalin) che sono “necessari perché la società possa vivere e svilupparsi”.
Quindi, come riporta Stalin,
le forze produttive costituiscono solo un aspetto della produzione, un aspetto del modo di produzione, quell’aspetto che esprime l’atteggiamento degli uomini verso gli oggetti e le forze della natura di cui si servono per produrre i beni materiali.
L’altro aspetto della produzione è costituito dai rapporti sociali di produzione, ovvero dai rapporti entro i quali le donne e gli uomini interagiscono all’interno dei processi di produzione. In altre parole, donne e uomini possono non interagire nella produzione, essere quindi isolati nell’atto della produzione oppure lavorare insieme dentro la produzione dei beni di sussistenza. Sin dalla società comunistica primitiva, l’essere umano ha sempre cercato di domare la natura rendendola sottomessa alle sue esigenze e ciò è avvenuto nell’arco della storia delle diverse società con un lavoro in comune, oppure con un lavoro più isolato da parte delle donne e degli uomini, che può anche limitarsi al contesto familiare.
Scrive Marx in “Lavoro salariato e Capitale” che
nella produzione gli uomini non agiscono soltanto sulla natura, ma anche gli uni sugli altri. Essi producono soltanto in quanto collaborano in un determinato modo e scambiano reciprocamente la propria attività. Per produrre, essi entrano gli uni con gli altri in determinati legami e rapporti, e la loro azione sulla natura, la produzione, ha luogo soltanto nei quadri di questi legami e rapporti sociali.
Da una parte, quindi, abbiamo i rapporti sociali di produzione, ovvero la struttura della società, o come dice Marx
l’insieme di questi rapporti sociali di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si erge una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono determinate forme sociali della coscienza;
dall’altra le forze produttive. Come riporta anche Stalin,
il cambiamento del modo di produzione provoca inevitabilmente il mutamento di tutto il regime sociale, delle idee sociali, delle concezioni e istituzioni politiche; provoca la ricostruzione di tutto il sistema sociale e politico. Nei diversi gradi dello sviluppo sociale, gli uomini si servono di differenti modi di produzione, ossia per parlare più semplicemente, gli uomini hanno un diverso modo di vita. Nella comunità primitiva esiste un modo di produzione; sotto la schiavitù ne esiste un altro; sotto il feudalismo un terzo, e via seguitando. Il regime sociale degli uomini, la loro vita spirituale, le loro concezioni, le loro istituzioni politiche differiscono a seconda dei loro modi di produzione.
Potremmo, quindi supporre per un secondo, che agli albori di una nuova struttura economica, di ogni nuova società (pensiamo all’affermarsi della borghesia nella storia del mondo), i “rapporti di produzione corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive”, come abbiamo ripreso da Marx. Gli uomini e le donne entrano in determinati rapporti sociali di produzione e tali rapporti corrispondono al carattere delle forze produttive, al loro grado di sviluppo. Come vedete, non siamo ancora discorrendo delle contraddizioni tra il carattere delle forze produttive e i rapporti sociali di produzione in essere. Ciò ci serve per spiegare alcuni aspetti della produzione.
Il primo è che, come scrive Stalin,
la produzione non si arresta mai per un lungo periodo, a un dato punto, ma è in continuo mutamento e sviluppo… [e che la] storia dello sviluppo della società è, innanzi tutto, la storia dello sviluppo della produzione, la storia dei modi di produzione, che si susseguono nel corso dei secoli, la storia dello sviluppo delle forze produttive e dei rapporti di produzione tra gli uomini… [In definitiva] la chiave che permette di scoprire le leggi della storia sociale bisogna cercarla non nel cervello degli uomini, e neppure nelle concezioni e nelle idee della società, ma nel modo di produzione praticato dalla società in ogni dato periodo storico: nell’economia della società.
Il secondo aspetto è che i cambiamenti nel come si produce, lo sviluppo della produzione comincia sempre
con il cambiamento e con lo sviluppo delle forze produttive, e, innanzi tutto, degli strumenti di produzione. Dapprima si modificano e si sviluppano le forze produttive della società, e poi, in funzione e conformemente a tali cambiamenti, si modificano i rapporti di produzione tra gli uomini, i loro rapporti economici.
Ciò ci consente di tornare un attimo da Marx quando nella Prefazione al suo “Per la critica dell’economia politica” scrive che
a un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi si erano mosse.
Stalin estende questo concetto chiarendolo, ovvero
i rapporti di produzione non possono troppo a lungo ritardare sull’aumento delle forze produttive, e trovarsi in contraddizione con tale aumento; poiché le forze produttive possono svilupparsi pienamente solo nel caso in cui i rapporti di produzione corrispondano al carattere, allo stato delle forze produttive e ne permettano il libero sviluppo. Perciò, qualunque sia il ritardo dei rapporti di produzione sullo sviluppo delle forze produttive, i rapporti di produzione devono, presto o tardi, ed è ciò che essi fanno effettivamente, finire col corrispondere al livello di sviluppo delle forze produttive, al carattere delle forze produttive. Qualora ciò non avvenisse, l’unità delle forze produttive e dei rapporti di produzione, nel sistema della produzione, verrebbe radicalmente compromessa, si verificherebbe una rottura nell’insieme della produzione, una crisi della produzione, la distruzione delle forze produttive.
Queste rotture nella produzione, questi cortocircuiti tra le progredite forze produttive e gli obsoleti rapporti sociali di produzione è ciò che porta alle crisi economiche, commerciali…crisi di sistema le quali hanno l’effetto, nel caso in cui rimangano in piedi gli stessi rapporti di produzione, la distruzione di gran parte delle forze produttive.
Nel capitalismo, per esempio, la contraddizione che emerge è legata all’anarchia della produzione borghese. Le forze produttive nel capitalismo, soprattutto oggi nella fase imperialistica del capitalismo, sono in grado di produrre enormi quantità di merci, in modo naturalmente disorganizzato poiché la linea guida da seguire non è la soddisfazione dei bisogni di tutti ma la massimizzazione del profitto individuale, privato. La capacità di produzione è enorme, ma i vincoli dei rapporti di proprietà borghesi equivalenti alla proprietà privata dei mezzi di produzione e, di conseguenza, alla proprietà privata di ciò che viene prodotto e che può essere assorbito solo da chi può assicurare il profitto al suo produttore, creano un cortocircuito che deve essere superato.
Come riporta Stalin, e qui chiudiamo poiché ciò voleva essere una introduzione su tematiche che tratteremo nell’ultimo capitolo del testo “Anarchia o Socialismo?” dal titolo “il socialismo proletario”,
avendo sviluppato le forze produttive in proporzioni gigantesche, il capitalismo è caduto in un groviglio di contraddizioni che non può risolvere. Producendo delle quantità sempre maggiori di merci e diminuendone i prezzi, il capitalismo aggrava la concorrenza, rovina le masse dei piccoli e medi proprietari privati, li converte in proletari, e ne diminuisce la capacità d’acquisto; e il risultato è che lo smercio dei prodotti diventa impossibile. Ma, allargando la produzione e raggruppando in immense fabbriche ed officine milioni di operai, il capitalismo imprime al processo di produzione un carattere sociale e mina, per questo fatto stesso, la propria base.