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Lenin: alcune perle dell’abiura di Kautsky In evidenza
Riprendiamo l’analisi del testo di Lenin del 1918 “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky”, in quanto parte dei lavori “Incontro con Lenin”, seminari questi di approfondimento della Scuola Rossa. Abbiamo iniziato l’analisi di questo testo introducendo il personaggio Kautsky con il lavoro dal titolo “le esitazioni di Kautsky” che trovate sia sul nostro canale YouTube che sul nostro canale Rumble. Oggi andremo oltre, e discuteremo dell’articolo di Lenin, che ha lo stesso titolo dell’opuscolo, e che lo precede di un mese.
Video-lezione disponibile sul canale YouTube della Scuola Rossa: https://youtu.be/zhShqwlaTww?si=ydFHygSAvziVgGdV
Relativamente alla rivoluzione socialista, e all’alleanza cercata e voluta dai bolscevichi tra operai e contadini poveri, e soprattutto al fatto di come i contadini poveri fossero feroci avversari della borghesia rurale, i kulaki, Kautsky cade nel liberalismo quando afferma che
esse [le espropriazioni dei contadini ricchi] immettono un nuovo fattore di turbamento e di guerra civile nel processo produttivo, che, per essere risanato, ha urgente bisogno di tranquillità e sicurezza.
Proprio così. Kautsky afferma con il suo liberalismo (che nulla ha a che vedere con il marxismo) che l’espropriazione dei kulaki, della borghesia agraria turbava…turbava chi?
Naturalmente la borghesia stessa, non certo i contadini poveri e in parte medi che avevano sofferto per tempi lunghissimi, che erano stati sfruttati e continuavano a essere sfruttati dai kulaki. Ma ora la classe operaia, lo stato socialista era dalla loro parte. Finalmente i contadini poveri avevano alle spalle una classe forte che si accingeva a guidare la costruzione del socialismo.
Inoltre, afferma Kautsky nel passaggio sopra riportato che per “risanare” i processi produttivi si aveva urgente bisogno di “tranquillità” e “sicurezza”. E lotta di classe? Dove Kautsky ha dimenticato la lotta di classe? E poi, chi aveva necessità di tranquillità e sicurezza?
Sicuramente la borghesia che nel periodo in cui questo testo di Lenin viene prodotto era stata in gran parte sconfitta politicamente ma era ancora forte poiché poteva fare affidamento ad aiuti dall’estero. E poi, rimaneva in piedi la borghesia agraria contro la quale la classe operaia e contadina povera andranno allo scontro anni dopo.
Lenin appunta che
in Russia abbiamo già visto tante volte i difensori dei kulaki nascondersi dietro il “marxismo”,
implicando che già in passato in diversi si sono spacciati per marxisti ma in essenza, in realtà, erano liberali, falso-comunisti, che infiltrandosi nel movimento operaio cercavano di guidare le classi oppresse verso la conciliazione con la borghesia e il capitalismo.
Naturalmente Kautsky non si ferma solo alla difesa dei kulaki, che rimane una posizione politica borghese, ma va oltre intrufolandosi nella avversione alla dittatura del proletariato. Per Kautsky, così come per tanti altri liberali travestiti da marxisti, la dittatura del proletariato era incompatibile con la cosiddetta “democrazia” (vi ricordate…quale democrazia? Democrazia per chi e per chi?).
Kautksy dimentica sfacciatamente che nel capitalismo è implementata a tutti gli effetti la dittatura della borghesia e che la democrazia è democrazia borghese, ovvero democrazia per pochi, per il beneficio dei pochi sfruttatori. Per questi pochi borghesi, rispetto all’enormità del campo degli sfruttati.
Perché allora Kautsky non dice che la dittatura della borghesia è ancora più incompatibile rispetto alla cosiddetta “democrazia”? E Kautsky per “democrazia” vorrebbe intendere la democrazia piena.
Per quale motivo Kautksy, così come tanti altri falso-comunisti e liberali insieme, non distingue la sovrastruttura sulla base dei rapporti di produzione e di proprietà? In altre parole, perché Kautsky non tratta la questione della differenza tra democrazia borghese (ovvero democrazia per i pochi sfruttatori) e democrazia socialista (ovvero democrazia per i molti sfruttati...o ex-sfruttati)? Perché, come detto svariate volte precedentemente, alla borghesia fa comodo rimanere nel generico in modo tale, da una parte, nascondere la loro oppressione sugli sfruttati, e, dall’altra, fare in modo di nascondere, di celare alle masse il loro stesso futuro, ovvero lo Stato socialista, la democrazia socialista, la dittatura della classe operaia e dei contadini poveri. Rimanere nel generico come richiede la borghesia con i soliti termini “società”, “stato”, “democrazia” rende tutto statico, metafisico, senza alcun movimento, senza alcun cambiamento. Immutabile poiché la borghesia vuole rimanere classe dominante per l’eternità. E seppur questo giochino fa sparire dai radar mainstream la lotta di classe, essa è però reale, materiale, attuale.
Come riporta Lenin, quindi, Kautsky
si schiera senza riserve con gli opportunisti (come i tedeschi David, Kolb e gli altri pilastri del social-sciovinismo), i quali dichiarano con maggiore franchezza e onestà che ripudiano la dottrina di Marx sulla dittatura del proletariato, perché questa dottrina sarebbe in contrasto con la democrazia. Si ha qui [continua Lenin] un completo ritorno alla concezione del socialismo tedesco pre-marxista, secondo cui noi aspireremmo a uno “Stato popolare libero” [vedete le nostre lezioni su Stato e Rivoluzione, parte della Fase I del nostro piano di studi], alla concezione dei democratici piccolo-borghesi, i quali non capiscono che ogni Stato è una macchina con cui una classe ne schiaccia un’altra.
Torniamo a quanto detto prima, quindi. Nella società capitalistica, la classe dominante è la classe borghese e lo Stato non è affatto un generico “Stato” ma è lo Stato borghese, il quale è quella macchina con cui la borghesia opprime le classi oppresse. La dittatura della borghesia, appunto. Nella società socialista, la classe dominante è la classe proletaria e lo Stato non è affatto un generico “Stato” ma è lo Stato socialista, il quale è quella macchina con cui la classe proletaria opprime le classi oppresse. La dittatura del proletariato, appunto.
Quindi, compagni lavoratori, quando sentire dire dai rappresentanti delle istituzioni, dalle alte cariche dello Stato di questo paese, termini quali società, stato, democrazia, sappiate che si tratta di “società borghese, capitalistica”, “stato borghese, capitalistico”, “democrazia borghese, capitalistica”, e tutto ciò lavora, funziona, è in moto proprio per il beneficio e il dominio della classe dei “pochi” capitalisti” di cui i rappresentati delle istituzioni e le alte cariche dello Stato sono al servizio. A meno che, naturalmente, non abbiano alcuni di loro la proprietà di mezzi di produzione e quindi siano parte della classe capitalistica stessa. Sappiatelo!
Tornando al liberale, falso-socialista Kautsky, e di conseguenza alla sua affermazione che la dittatura del proletariato è incompatibile con la “democrazia”, dice Lenin che
si ha qui una completa rinuncia alla rivoluzione del proletariato, che viene sostituita con la teoria liberale della “conquista della maggioranza” e “dell’utilizzazione della democrazia”! Il rinnegato Kautsky dimentica del tutto, travisa, getta a mare tutto quello che Marx ed Engels hanno detto e dimostrato, in un quarantennio, dal 1852 al 1891, sulla necessità per il proletariato di “spezzare” la macchina statale borghese.
L’analisi di questo testo di Lenin è molto importante poiché ci permette di focalizzarci su concetti già ampliamente studiati in “Stato e rivoluzione”. Inoltre, questa analisi ci permette di ribadire il seguente concetto che ripeteremo migliaia di volte, ovvero
ogni Stato è una macchina con cui una classe ne schiaccia un’altra e che la repubblica borghese più “democratica” è una macchina con cui la borghesia opprime il proletariato.
Nella repubblica borghese, anche se la più “democratica” di questo mondo, vi è completamente implementata la dittatura della borghesia. Nella repubblica socialista, dove la democrazia sarà per tanti (non ancora per tutti) ma sicuramente non più per i pochi, vi dovrà essere completamente implementata la dittatura del proletariato. Rinnegare questo passaggio significa rinnegare il marxismo.
Come scrive Lenin,
la dittatura del proletariato è uno Stato di altro tipo (rispetto a quello borghese, per esempio), uno Stato proletario, una macchina con cui il proletariato reprime la borghesia. Questa repressione è necessaria perché la borghesia oppone sempre una resistenza furibonda alla sua espropriazione.
Sottolineiamo qui il termine “necessaria”, “questa repressione è necessaria”. E qui mi vengono in mente i vari confusi pseudo compagni comunisti che ripudiano termini quali “lotta di classe”, “dittatura”, “repressione”, come se la lotta di classe fosse un esercizio di fioretto oppure un ballo di gala. La repressione della borghesia sconfitta politicamente dalla rivoluzione socialista deve essere perseguita sicuramente.
Dobbiamo tenere anche a mente che nella società borghese in cui esiste lo Stato borghese con una democrazia per pochi, la libertà vera, l’uguaglianza vera sono ovviamente chimere; la vera libertà è per pochi, così come l’uguaglianza. Di conseguenza, la libertà e l’uguaglianza nelle loro forme piene non esistono in un contesto sociale di lotta di classe, ed è ciò che Engels afferma, ovvero,
finché il proletariato ha ancora bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell’interesse della libertà, ma nell’interesse dell’assoggettamento dei suoi avversari, e, quando diventa possibile parlare di libertà, allora lo Stato come tale cessa di esistere.
In altre parole, la libertà e l’uguaglianza nella pienezza del loro significato si concretizzano solamente nella fase superiore della società comunista; fase in cui lo Stato completa la sua estinzione. Niente più partizione della società in classi; niente più divisione del lavoro. Si arriva a ciò che Marx scrive nella critica al Programma di Gotha e che Lenin riprende in Stato e rivoluzione: “ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”.
Siamo ben consci che la repubblica borghese, lo stato borghese può prendere diverse forme a seconda delle necessità di salvaguardia e di difesa della classe capitalistica al potere. Seppure con la stessa struttura, ovvero con gli stessi rapporti sociali di produzione borghesi, ci possono essere Stati borghesi molto democratici così come ci possono essere Stati fascisti. Questa varietà di repubbliche borghesi che come un ventaglio va dalla più “democratica” (per quando una democrazia per pochi possa espandersi) sino alla più fascista, ha rapporti sociali di produzione capitalistici…la struttura è ad ogni modo, sempre, capitalistica. Difatti, seppur abbiamo una idea di cosa si intenda per “repubblica borghese” di natura “democratica”, seppur nel senso di una democrazia per pochi, dobbiamo anche essere consci dell’altra estremità, ovvero di uno stato fascista.
Il fascismo al potere, quindi lo stato fascista, è la dittatura terroristica aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario. Siamo quindi sempre dentro il capitalismo monopolistico, l’imperialismo, e il fascismo è una versione brutale della dittatura della borghesia. Ne è la versione più terroristica, più reazionaria, più feroce.
La classe dominante non cambia…è sempre la classe borghese che tramite il terrore cerca di preservare il proprio potere politico ed economico nella fase suprema del capitalismo. Teniamolo a mente così da comprendere come il fascismo non sia uno strumento contro la classe dominante borghese ma nelle mani della classe dominante borghese. Ad essa oggi potrà servire la versione più “democratica” dello stato borghese; domani la versione più fascista. Sempre e comunque contro la classe operaia e le classi oppresse. Sono gonzi le operaie e gli operai, le lavoratrici e i lavoratori che abbracciano il fascismo senza comprendere che stanno così abbracciando gli elementi più feroci, più reazionari, più terroristici della classe sociale nemica: l’oligarchia finanziaria.
Riportiamo brevemente un passaggio di Georgi Dimitrov sul fascismo, tema che approfondiremo in futuro.
La varietà più reazionaria di fascismo è il fascismo di tipo tedesco. Esso si chiama impudentemente nazional-socialismo, senza aver nulla in comune con il socialismo. Il fascismo hitleriano non è soltanto nazionalismo borghese: è sciovinismo bestiale. È un sistema governativo di banditismo politico, un sistema di provocazioni e di torture ai danni della classe operaia e degli elementi rivoluzionari contadini, della piccola borghesia e degli intellettuali. È barbarie, è ferocia medioevale. È l’aggressione sfrenata contro gli altri popoli e paesi. Il fascismo tedesco scende in campo come reparto di assalto della controrivoluzione internazionale, come principale fomentatore della guerra imperialistica, come iniziatore della crociata contro l’Unione dei Soviet, la grande patria dei lavoratori di tutto il mondo.
È per questo motivo che la Germania di Hitler si accanì enormemente contro l’Unione Sovietica, il paese dei Soviet dei deputati contadini, operai e soldati, e non proprio contro le borghesie nazionali francese, inglese, e così via.
Continua il compagno Dimitrov:
Il fascismo non è una forma di potere statale che stia «al di sopra di tutt’e due le classi, del proletariato e della borghesia», come ha affermato, ad esempio, Otto Bauer. Non è la «piccola borghesia insorta che si è impadronita della macchina statale», come afferma il socialista inglese Brailsford. No! Il fascismo non è né un potere al di sopra delle classi, né il potere della piccola borghesia o del sottoproletariato sul capitale finanziario. Il fascismo è il potere dello stesso capitale finanziario. È l’organizzazione della repressione terroristica contro la classe operaia e contro la parte rivoluzionaria dei contadini e degli intellettuali. Il fascismo, in politica estera, è lo sciovinismo nella sua forma più rozza, lo sciovinismo che coltiva l’odio bestiale contro gli altri popoli.
L’operaio, il lavoratore che ha simpatie fasciste è quindi un operaio, un lavoratore confuso, smarrito, che rafforza il suo stesso nemico di classe: l’oligarchia finanziaria.
Torniamo a Lenin, il quale scrive che,
la democrazia borghese è sempre angusta, ipocrita, menzognera, falsa, è sempre democrazia per i ricchi, un inganno per i poveri. La democrazia proletaria reprime gli sfruttatori, la borghesia, e quindi non è ipocrita, non promette loro la libertà e la democrazia, ma garantisce ai lavoratori la democrazia reale [ciò che abbiamo riportato da Engels precedentemente]. Solo la Russia sovietica assicura al proletariato e alla stragrande maggioranza lavoratrice, una libertà e una democrazia sinora sconosciute, impossibili e inconcepibili in qualsiasi repubblica democratica borghese, togliendo, per esempio, i palazzi e le ville alla borghesia (senza di queste la libertà di riunione è una ipocrisia), togliendo le tipografie e la carta ai capitalisti (senza di queste la libertà di stampa per la maggioranza lavoratrice della nazione è una menzogna), sostituendo il parlamentarismo borghese con l’organizzazione democratica dei soviet, che sono mille volte più vicini al “popolo” e “democratici” del parlamento borghese più democratico.
Ciò che stiamo esponendo penso sia chiaro a tutti. Non per nulla, Kautsky è un non-marxista. Kautsky, come dice Lenin, è un lacchè della borghesia che nel tempo si è sempre più dimostrato tale.
Analizziamo ora altri aspetti del pensiero liberale di Kautsky. Iniziamo dal suo pensiero sui Soviet.
Scrive Kautsky che
i Soviet sono validi in quanto “organizzazioni di combattimento” ma non come “organizzazioni statali”.
Ciò implica che i Soviet andavano bene sino a quando si doveva combattere la classe dominante ma non si doveva assolutamente né compiere la rivoluzione socialista, né tantomeno dare tutto il potere ai Soviet, come fecero i bolscevichi. Esattamente come i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari, Kautsky predica una società capitalistica e una repubblica borghese, con il parlamento borghese. Non il socialismo, non lo stato socialista, non i Soviet. Difatti, scrive Lenin ironicamente:
Proletari e contadini poveri, organizzatevi nei Soviet! Ma – Dio ce ne scampi e liberi! – non osate vincere! Non vi venga in mente di vincere! Non appena avrete trionfato sulla borghesia, tutto sarà perduto perché voi non dovete diventare organizzazioni statali nello Stato proletario. Dopo la vostra vittoria, dovete appunto sciogliervi!! Che mirabile “marxista” questo Kautsky! Che inimitabile “teorico” dell’abiura!
Altro punto di rilievo. Secondo Kautsky, e Lenin riporta,
la guerra civile è il nemico mortale della “rivoluzione sociale” perché, come abbiamo già sentito dire, questa rivoluzione “ha bisogno di tranquillità” (per i ricchi?) e “sicurezza” (per i capitalisti?)
Ma come abbiamo già dimostrato, siamo sempre in un contesto di lotta di classe e, quindi, non si capisce di che tipo di tranquillità e di sicurezza parli Kautsky. Ciò può essere solo a beneficio della borghesia, non certo della classe operaia, dei contadini poveri e del resto della popolazione degli oppressi. Il compito della classe operaia è guidare la lotta di classe, a tutti i livelli, contro la classe dominante.
Ma forse la perla tra le perle è il seguente passaggio di Kautsky il quale afferma che
la dittatura degli strati inferiori spiana la strada alla dittatura della spada.
Perché la definisco perla? Perché in dodici parole Kautsky è riuscito ad essere confuso su multipli aspetti.
Prima di tutto, Kautsky scrive “la dittatura degli strati inferiori”. Ciò non è corretto poiché la scienza socialista tratta della dittatura della classe operaia la quale guida la costruzione del socialismo, insieme s’intende alle classi alleate. Difatti, tra gli strati inferiori ci troviamo anche il sottoproletariato il quale non è affatto una categoria sociale rivoluzionaria ma, invece, tendenzialmente reazionaria, come Marx ci spiega nel Il Capitale.
Altro punto da correggere è che Kautsky parla di dittatura, anche se degli strati inferiori. Ma tale dittatura può esserci solo quando la classe operaia e i contadini poveri hanno sconfitto politicamente la borghesia portando a termine la rivoluzione socialista. Non può esserci quindi nessuna dittatura di questi “strati inferiori” nel capitalismo perché lì esiste in tutto il suo vigore la dittatura della borghesia, la quale è una dittatura. Perché allora dire che la “dittatura degli strati inferiori” spiana la strada alla dittatura della spada? Non è così, seppur in forme diverse, anche nel capitalismo dove vige la dittatura della borghesia? Certamente è così.
Kautsky vuole, cerca di vendere alla classe operaia che solo con la dittatura del proletariato, solo quindi con la dittatura imposta proprio dagli operai, insieme ai contadini poveri, ci sarà la “dittatura della spada”; non prima. Non nel capitalismo.
Kautsky dimentica completamente la “dittatura della borghesia” nel capitalismo, e difatti, se andiamo in giro a vedere le posizioni dei falso-comunisti di oggi impregnati dalle idee revisioniste della Seconda Internazionale, in una eterna deriva verso il liberalismo più ottuso, nessuna parla della “dittatura della borghesia”; nessuno spiega agli operai e ai lavoratori salariati in cosa consista questa “dittatura della borghesia”, ma si scagliano senza pudore contro la dittatura del proletariato che, guarda un po’, è implementata dagli operai stessi ed è a loro beneficio.
Che strano.
Non vorrà forse dire che questi revisionisti nel campo comunista, per non parlare di altri già venduti da decenni, fanno gli interessi della classe dei capitalisti e delle oligarchie finanziarie?
In questo brevissimo passaggio di Kautsky c’è tutto il suo liberalismo, riformismo. È lontano da Marx anni luce.
Arriviamo ora alla questione dell’internazionalismo, sul quale Kautsky segue i menscevichi. Scrive difatti che
i menscevichi volevano la pace generale. Volevano che tutti i belligeranti accettassero la parola d’ordine: senza annessioni e senza riparazioni. Fino a quando questo obiettivo non fosse stato raggiunto, l’esercito russo sarebbe dovuto rimanere con le armi al piede.
I bolscevichi invece hanno disorganizzato l’esercito e stipulato la pace di Brest. Scrive difatti Lenin che
Kautsky dice nel modo più chiaro che bisognava conservare l’Assemblea costituente, che i bolscevichi non dovevano prendere il potere. Così, l’internazionalismo consiste nell’appoggiare il “proprio” governo imperialistico, come hanno fatto i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari nei confronti di Kerensky; consiste nel nascondere i trattati segreti del proprio governo imperialistico; consiste nell’ingannare il popolo con frasi dolciastre. Secondo Kautsky questo è internazionalismo. Per noi, invece, è completa abiura.
Cosa è quindi l’internazionalismo, e non invece il nazionalismo piccolo-borghese travestito da internazionalismo dei Kautsky, dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari? Lenin ci regala una definizione, ovvero:
l’internazionalismo consiste nel rompere con i propri social-sciovinisti (cioè i difensisti) e con il proprio governo imperialistico, consiste nel condurre la lotta rivoluzionaria contro questo governo, nel rovesciarlo, nell’accettare i sacrifici nazionali più gravi (persino la pace di Brest), se ciò è utile allo sviluppo della rivoluzione operaia internazionale.
Continua Lenin:
sappiamo molto bene che Kautsky e i suoi soci (come Strobel, Bernstein, ecc.) si sono indignati profondamente per la pace di Brest: costoro avrebbero voluto che noi facessimo un gesto…consegnando subito il potere in Russia alla borghesia! Questi piccoli borghesi tedeschi, ottusi ma bonari e gentili, non volevano che la repubblica proletaria sovietica, cioè la repubblica che prima al mondo aveva abbattuto per via rivoluzionaria il suo imperialismo, sopravvivesse sino alla rivoluzione in Europa, attizzando l’incendio negli altri paesi (i piccoli borghesi hanno paura dell’incendio in Europa, hanno paura della guerra civile, che turba la “tranquillità” e “sicurezza”).
No, essi volevano [e qui veniamo al nocciolo della questione] che in tutti i paesi restasse in auge il nazionalismo piccolo-borghese, che si proclama internazionalismo per la sua moderazione e le buone maniere.
Naturalmente, questo ragionamento di Kautsky e soci, questo loro nazionalismo piccolo-borghese truccato e travestito da internazionalismo è ora patrimonio dei partiti comunisti e socialisti piccolo-borghesi, e in Italia ce ne sono diversi. In Italia manca un partito realmente marxista-leninista e il nostro compito come Scuola Rossa è quello di cominciare la semina affinché la sua costituzione avvenga in un futuro non troppo lontano. Rimarca difatti Lenin che
la più grave sventura e il più grave pericolo sta nell’assenza di un partito rivoluzionario.
Tornando alla pace di Brest, le decisioni dei bolscevichi furono giuste. Di questa pace, dei suoi risvolti e delle sue complicazioni, ne abbiamo parlato nell’altro seminario “Dialogando con Stalin”, nell’analisi del testo “Trotskismo e Leninismo?”. In questo testo di Lenin sotto analisi, Lenin stesso scrive che
oggi solo dei perfetti imbecilli possono non vedere che noi siamo stati nel giusto non solo quando abbiamo rovesciato la nostra borghesia (e i suoi valletti, i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari), ma anche quando abbiamo stipulato la pace di Brest, dopo che il sincero appello alla pace generale, convalidato dalla pubblicazione e dalla denuncia dei trattati segreti, era stato respinto dalla borghesia dell’Intesa. In primo luogo, [continua Lenin], se non avessimo concluso la pace di Brest, avremmo dovuto cedere il potere alla borghesia russa; in secondo luogo, a prezzo dei nostri sacrifici nazionali, siamo riusciti a conservare un’influenza rivoluzionaria internazionale.
Come trattato nell’analisi del testo di Stalin “Trotskismo o leninismo?” in “Dialogando con Stalin”, il difensismo è una tattica a supporto della borghesia e la tattica di Kautsky, ma non solo come abbiamo detto, va esattamente in questa direzione. Questa tattica ha implicato che la classe operaia, i contadini poveri, i non appartenenti alla classe dominante, dovevano difendere la propria nazione insieme alla borghesia; sostenendo quindi la propria borghesia nel raggiungere i suoi obiettivi imperialistici. Questo non è il percorso che la classe operaia deve seguire, ovvero farsi ammazzare per gli interessi economici e politici della classe dominante, de facto avversaria, nemica. La classe operaia deve invece raggruppare intorno a se le classi alleate, quelle del salariato povero, è colpire al cuore il nemico di classe.
Cosa fare, quindi?
Concludiamo con le parole di Lenin il quale termina il suo articolo dal titolo “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky” nel seguente modo:
bisogna smascherare con tutti i mezzi i rinnegati come Kautsky e sostenere i gruppi rivoluzionari dei proletari veramente internazionalisti, che esistono in tutti i paesi. Il proletariato volgerà rapidamente le spalle ai traditori e ai rinnegati, e seguirà questi gruppi nel cui seno educherà i suoi dirigenti.