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La rivoluzione "permanente" e le altre teorie ingannevoli di Trotsky In evidenza

Con questa lezione del seminario “Dialogando con Stalin” si concluderà la nostra disamina del testo di Stalin “Trotzkismo o Leninismo?”, in cui esamineremo, ampliando il discorso, ciò che Stalin chiama “i tratti caratteristici del nuovo trotzkismo”. Ovvero, la questione della rivoluzione permanente; la ricerca da parte di Trotsky del nuovismo e con ciò intendiamo la contrapposizione dei vecchi quadri di partito che avevano fatto le rivoluzioni ai nuovi membri del partito; e infine le menzogne da parte di Trotsky su un Lenin che, solo secondo Trotsky, da una parte amava prendere decisioni da solo come, dice Stalin ironicamente, un

mandarino cinese che prende le decisioni più importanti nella quiete del suo studio,

menzogna che poi sarà ribadita contro Stalin, e dall’altra parte di un “Lenin blanquista”, che senza alcuna analisi inculcava, dice Trotsky,

ad ogni occasione propizia l’idea della inevitabilità del terrorismo. 

Queste le falsità di Trotsky su Lenin.

Video-lezione disponibile sul canale YouTube della Scuola Rossa: https://youtu.be/oQ5jICfRgQQ?si=jfpwaGbcIhUXdLro

Continueremo anche a riportare i fatti storici del periodo pre-rivoluzionario e post-rivoluzionario, mentre su Trotsky e le sue malefatte eravamo arrivati nella scorsa lezione a elencarne dieci. Andate pure a rivedervi l’ultimo video di “Dialogando con Stalin”. Ci eravamo fermati al VI Congresso del partito e dell’entrata del gruppo di Trotsky nel partito.

Continuiamo.

Undici. Il 10 (23) ottobre 1917, si tiene la storica riunione del Comitato Centrale del partito che abbiamo anticipato e che decide l’inizio dell’insurrezione armata. Nella stessa riunione del 10 Ottobre, Trotsky, come riporta il Comitato Centrale,

pur non votando apertamente contro la risoluzione, presentò un emendamento che avrebbe provocato la sconfitta e l’annientamento dell’insurrezione. Egli propose di non cominciare l’insurrezione prima dell’apertura del Il Congresso dei Soviet, il che voleva dire temporeggiare con l’insurrezione, rivelarne in anticipo la data ed avvertirne il Governo provvisorio.

Dodici. Riporta il Comitato Centrale che

Il 21 ottobre (3 novembre), i bolscevichi inviarono dei commissari del Comitato militare rivoluzionario in tutte le unità rivoluzionarie. Durante le giornate che precedettero l’insurrezione, le unità militari, le fabbriche e le officine si prepararono con energia alla battaglia. Compiti precisi erano stati assegnati anche alle navi da guerra «Aurora» e «Alba della libertà». Ma in una seduta del Soviet di Pietrogrado, Trotsky decide di spifferare al nemico la data prestabilita dai bolscevichi per l’inizio dell’insurrezione. Per impedire al governo Kerenski di domare l’insurrezione armata, il Comitato Centrale del partito decide di scatenarla e di portarla a compimento prima della data fissata, un giorno prima che s’iniziasse il II Congresso dei Soviet.

Tredici. Arriviamo ai negoziati di Brest-Litovsk. Riporta la Commissione incaricata dal Comitato Centrale che durante i negoziati

si rese evidente che gli imperialisti tedeschi volevano impadronirsi di immensi territori dell’ex impero zarista e trasformare la Polonia, l’Ucraina e le regioni baltiche in tanti Stati dipendenti dalla Germania.

La classe operaia e i contadini si videro costretti ad accettare dure condizioni di pace, a retrocedere di fronte al predone che in quel momento era il più pericoloso, l’imperialismo tedesco, se volevamo ottenere una tregua, consolidare il potere sovietico e creare un esercito nuovo, l’Esercito Rosso, che fosse capace di difendere il paese dall’aggressore.

Tutti i controrivoluzionari, dai menscevichi e socialisti-rivoluzionari alle più accanite guardie bianche, scatenarono un’agitazione furibonda contro la firma del trattato di pace. Le loro intenzioni erano chiare: essi volevano far fallire le trattative di pace, provocare un’offensiva tedesca ed esporre ai suoi colpi il potere sovietico non ancora consolidato, mettere in pericolo le conquiste degli operai e dei contadini.

I loro alleati erano Trotsky e Bucharin, il quale, insieme con Radek e Piatakov, si trovava a capo di un gruppo ostile al partito, che per mascherarsi si chiamava gruppo dei «comunisti di sinistra». Trotsky e il gruppo dei «comunisti di sinistra» mossero, all’interno del partito, una lotta accanita contro Lenin e per la continuazione della guerra.

Il 7 gennaio del 1918, Lenin scrive le “Tesi sulla conclusione di una pace immediata, separata e annessionistica”, e tra I’8 e l’11 (21-24) gennaio 1918, scrive il “Poscritto alle tesi sulla conclusione immediata di una pace separata e annessionistica”. In questo poscritto, Lenin scrive che

la discussione di queste tesi ha dimostrato che nel partito vi erano tre opinioni a questo proposito: la metà circa dei partecipanti si è pronunciata per la guerra rivoluzionaria (questa opinione a volte è stata chiamata «moscovita», perché l’ufficio regionale di Mosca del nostro partito l’ha adottata prima delle altre organizzazioni); poi circa un quarto per il compagno Trotsky, che aveva proposto «di dichiarare cessato lo stato di guerra, di smobilitare l’esercito e mandarlo a casa, ma di non firmare la pace», e infine circa un quarto per me.

Per comprendere cosa si intenda per “guerra rivoluzionaria”, e del perché venga denominata “moscovita”, riprendiamo dalle note delle Opere complete di Lenin il seguente passaggio, ovvero che

l'Ufficio regionale di Mosca del POSDR(b), di cui si erano temporaneamente resi padroni i «comunisti di sinistra», approvò il 28 dicembre 1917 (10 gennaio 1918), una risoluzione scissionista negando fiducia al CC ed esigendo la cessazione delle trattative di pace con la Germania e la continuazione della guerra. Il gruppo dei «comunisti di sinistra» si trovò però isolato sulla questione della pace e fu sconfitto. Il VII Congresso del partito approvò, nel marzo 1918, la risoluzione di Lenin sulla pace di Brest-Litovsk.

In definitiva, quindi, prima del VII Congresso del partito bolscevico che si terrà a marzo del 1918 avevamo la posizione maggioritaria di chi voleva continuare la guerra contro la Germania, fermando così qualsiasi sviluppo nella trattativa di pace; un quarto dei compagni seguiva Trotsky che aveva la posizione più strana di tutte dato che proponeva di fermare la guerra e smobilitare l’esercito senza però firmare alcun trattato di pace; e un quarto per Lenin che invece aveva la linea politica della pace per salvaguardare il neonato stato socialista e per avere mani libere nella sua costruzione in un contesto però sempre di guerra civile. 

In questo poscritto, Lenin si rivolge alla maggioranza nel partito che vuole, potremmo dire meccanicisticamente, la guerra rivoluzionaria. Scrive Lenin che

la maggioranza dei funzionari di partito, movendo dalle migliori intenzioni rivoluzionarie e dalle migliori tradizioni di partito, si lascia trascinare da una parola d’ordine «chiara», senza afferrare la nuova situazione economico-sociale e politica, senza tener conto delle mutate condizioni, che esigono un rapido, brusco mutamento di tattica. E, come allora (ovvero come nel 1907 quando la maggioranza dei bolscevichi era favorevole al boicottaggio della III Duma), tutto il mio dissenso deve essere concentrato nella spiegazione di un concetto: il marxismo esige che si tenga conto delle condizioni obiettive e del loro mutamento, bisogna porre la questione in modo concreto, in funzione di queste condizioni, e il mutamento radicale consiste ora nella creazione della Repubblica dei soviet di Russia: al di sopra di tutto vi è la salvaguardia di questa repubblica, della rivoluzione socialista già iniziata, in questo momento la parola d’ordine della guerra rivoluzionaria da parte della Russia significherebbe o una frase vuota e un inutile gesto dimostrativo, o equivarrebbe obiettivamente a cadere in una trappola tesaci dagli imperialisti che vogliono trascinarci nella continuazione della guerra imperialistica come una particella ancora debole, e schiacciare , pagando il minimo prezzo, la giovane Repubblica dei soviet.

Continua Lenin,

nel loro ardore di ripetere le vecchie parole d’ordine, i moscoviti non hanno neppure tenuto conto che noi bolscevichi siamo tutti diventati fautori della difesa della patria.

Per quanto riguarda Trotsky, invece, e la sua posizione politica sulla pace, tra le note del volume 26 delle Opere complete di Lenin è ripotato quanto segue: 

II colloquio telefonico con la delegazione russa a Brest-Litovsk avvenne durante le trattative di pace con la Germania, iniziatesi il 3 (16) dicembre 1917 in quella città. Un accordo per l'armistizio fu firmato il 5 (18) dicembre 1917.

La firma della pace fu osteggiata da vari gruppi, di destra e di sinistra; in particolare dai menscevichi e dai socialisti-rivoluzionari, ma anche da alcuni “bolscevichi”, come Trotsky, Bucharin, Radek e Piatakov (questi tre ultimi facevano parte del gruppo chiamato dei «comunisti di sinistra»). Trotsky, allora presidente della delegazione sovietica a Brest-Litovsk, dichiarò che la Repubblica dei soviet si rifiutava di firmare la pace alle condizioni poste dalla Germania e al tempo stesso informò i tedeschi che la Repubblica dei soviet non avrebbe fatto la guerra e avrebbe continuato la smobilitazione. Egli non segui le direttive di Lenin che lo invitava, a nome del CC, a firmare la pace. Il 28 gennaio (10 febbraio) 1918 furono rotte le trattative; una settimana dopo cominciava l'offensiva tedesca. Lo stesso giorno il CC su proposta di Lenin, decideva di inviare al governo tedesco un telegramma in cui lo si informava che il governo sovietico era d'accordo per firmare la pace.

Il 5 marzo del 1918, Lenin scrive “Una lezione seria e una seria responsabilità”, in cui dichiara che

I nostri pseudo-sinistri, cercando di eludere i fatti, le loro lezioni, la questione delle responsabilità, si sforzano di nascondere al lettore un passato recente, anzi recentissimo, che ha un’importanza storica, di mascherarlo con riferimenti a qualcosa di remoto e di insignificante.

Esempio n.1: Radek ricorda nel suo articolo di aver scritto in dicembre (in dicembre!) circa la necessità di aiutare l’esercito a resistere, e di aver scritto ciò in un «memorandum al Consiglio dei commissari del popolo». Io non ho avuto la possibilità di leggere questo memorandum e mi chiedo: perché mai Radek non lo pubblica per intero?

Esempio n.2: Bukharin adesso cerca perfino di negare che egli e i suoi amici sostenevano l’impossibilità che i tedeschi attaccassero. Tuttavia moltissima gente sa che questo è un fatto, che Bukharin e i suoi amici lo sostenevano, che, diffondendo questa illusione, essi hanno aiutato l’imperialismo e ostacolato i progressi della rivoluzione tedesca, che ora è indebolita perché alla repubblica sovietica grande-russa sono stati strappati, allorché l’esercito contadino è fuggito in preda al panico, migliaia e migliaia di cannoni e ricchezze per centinaia e centinaia di milioni. Questo io l’avevo predetto con chiarezza e precisione nelle tesi del 7 gennaio.

L’8 marzo del 1918, al “Discorso conclusivo al dibattito sulla guerra e la pace”, Lenin scrive di Trotsky quanto segue:

Debbo poi occuparmi della posizione del compagno Trotsky. Nella sua attività bisogna distinguere due aspetti: quando egli cominciò le trattative di Brest, sfruttandole magnificamente per l’agitazione, noi eravamo tutti d’accordo con il compagno Trotsky. Egli ha citato una parte di un colloquio avuto con me, ma io aggiungo che fra di noi era stato stabilito di tener duro fino all’ultimatum dei tedeschi e di cedere però dopo l’ultimatum. Il tedesco ci ha preso per la gola: di sette giorni ce ne ha rubati cinque. La tattica di Trotsky, fin tanto che portava a tirare in lungo le trattative, era giusta: essa è divenuta sbagliata quando si dichiarò cessato lo stato di guerra senza che la pace fosse stata firmata. Io proposi in modo assolutamente preciso di firmare la pace. Non potevamo ottenere una pace migliore di quella di Brest.

Lenin, Stalin e Sverdlov dovettero sostenere, come riporta la Commissione, una delle più accanite lotte nel Comitato Centrale contro Trotsky, Bukharin e gli altri trotzkisti per ottenere un voto in favore della pace. Lenin indicò nel suo lavoro “Una lezione seria e una seria responsabilità”, che Bukharin e Trotsky

avevano di fatto aiutato gli imperialisti tedeschi e ostacolato il progresso e lo sviluppo della rivoluzione in Germania.

Il 23 febbraio, il Comitato Centrale decise di accettare le condizioni del comando tedesco e di firmare il trattato di pace. L’iniziativa di Trotsky e altri di non firmare la pace ma contestualmente di smobilitare l’esercito dichiarando conclusa la guerra consentì alla Germania di rompere l’armistizio e di riprendere l’avanzata militare. Ciò costò alla neonata Repubblica sovietica la Lettonia, l’Estonia, la Polonia che passavano così alla Germania.

Tornando alla questione dei cosiddetti “moscoviti”, dei comunisti di sinistra e Trotsky, dobbiamo dire che essi di fatto approvarono una risoluzione scissionistica di sfiducia verso il Comitato Centrale e, dichiaravano, testualmente, “quasi impossibile evitare la scissione a breve scadenza nel partito”. Essi dichiararono che

nell’interesse della rivoluzione internazionale noi riteniamo utile prendere in considerazione l’eventuale soppressione del potere sovietico, che diventa ora puramente formale.

Posizione che Lenin dichiarò essere “strana e mostruosa”. Riporta la commissione incaricata dal comitato centrale che

in quel momento, non era ancora chiara per il partito la vera causa della condotta ostile al partito di Trotsky e dei «comunisti di sinistra». Ma, come è risultato al processo all’inizio del 1938, l’organizzazione antisovietica nota col nome di «blocco dei destri e dei trotzkisti», Bukharin e il gruppo dei «comunisti di sinistra» da lui diretto, tramavano allora, insieme a Trotsky e a socialisti-rivoluzionari «di sinistra», un complotto contro il governo sovietico.

È accertato che Bukharin, Trotsky e i loro complici si ponevano come scopo di sabotare il trattato di pace di Brest-Litovsk, di fare arrestare Lenin, Stalin, Sverdlov, di assassinarli e di formare un nuovo governo composto di bukhariniani, di trotzkisti e di socialisti-rivoluzionari «di sinistra».

Questo tentativo fu sconfitto poiché il partito appoggiò Lenin e la sua linea, e il gruppo dei “comunisti di sinistra” si ritrovò isolato e battuto.

Ed è qui che entra in gioco l’importantissimo VII Congresso del partito del marzo 1918 in cui la risoluzione di Lenin sulla pace di Brest viene approvata. 

Scrive la commissione che

il VII Congresso decise di cambiare il nome del partito e di modificarne il programma. Il partito si venne a chiamare Partito comunista (bolscevico) di Russia - P.C.(b)R. È Lenin che propone di chiamare comunista il nostro partito, perché questo nome risponde esattamente allo scopo che il partito si assegna: realizzare il comunismo.

Per stabilire il nuovo programma del partito, fu eletta una commissione speciale composta da Lenin, Stalin ed altri, e come base del programma si prese un progetto preparato da Lenin. Così il VII Congresso realizzò un grandioso compito storico: batté i nemici nascostisi in seno al partito, i «comunisti di sinistra» e i trotzkisti; riuscì a strappare il paese alla guerra imperialistica e ad ottenere la pace, la tregua: permise al partito di guadagnar tempo per organizzare l’Esercito Rosso e proclamò come dovere del partito di instaurare l’ordine socialista nell’economia nazionale.

Quattordici. Nel marzo del 1919, si aprì il VIII Congresso, un anno dopo il VII. Scrive la commissione incaricata dal comitato centrale che   

particolare attenzione fu rivolta dal congresso alle questioni organizzative dell’Esercito Rosso. Al congresso si presentò la cosiddetta «opposizione militare» che comprendeva un numero discreto di ex «comunisti di sinistra». Però, oltre i rappresentanti del battuto «comunismo di sinistra», comprendeva pure dei militanti che, senza aver mai partecipato ad alcuna opposizione, erano tuttavia malcontenti della direzione di Trotsky nell’esercito. La maggioranza dei delegati militari era assai indignata contro Trotsky, contro i suoi inchini agli specialisti militari del vecchio esercito zarista, di cui una parte ci aveva senz’altro traditi durante la guerra civile, contro il suo atteggiamento altezzoso e ostile verso i vecchi militanti bolscevichi dell’esercito.

Al congresso furono citati degli esempi «tratti dalla pratica»: si mostrò che Trotsky aveva voluto far fucilare numerosi comunisti, che occupavano posti militari di responsabilità nell’esercito, e che non erano nelle sue grazie, facendo così, il gioco del nemico; soltanto l’intervento del Comitato Centrale e le proteste dei militanti nell’esercito avevano impedito che questi compagni fossero fucilati.

Quindici. Ci catapultiamo ora nel bel mezzo della guerra civile, e ribadiamo fatti storici già esposti in altre lezioni sul testo “Trotzkismo e Leninismo?” di Stalin. 

Scrive Stalin che

fra tali leggende bisogna annoverare anche la versione diffusissima secondo la quale Trotsky sarebbe l’unico o il principale organizzatore delle vittorie sui fronti della guerra civile. Debbo chiarire, compagni, nell’interesse della verità, che questa versione non corrisponde affatto al vero. Sono ben lontano dal negare la funzione importante di Trotsky nella guerra civile. Ma debbo dichiarare risolutamente che l’alto onore di essere l’organizzatore delle nostre vittorie appartiene non a singole persone, ma al grande collettivo degli operai d’avanguardia del nostro paese, al Partito comunista russo. Forse non sarà di troppo citare alcuni esempi. Voi sapete [continua Stalin] che Kolciak e Denikin erano considerati i principali nemici della Repubblica sovietica. Voi sapete che il nostro paese ha tirato il fiato liberamente solo dopo la vittoria su questi nemici. Ed ecco chela storia dimostra che ambedue questi nemici, cioè Kolciak e Denikin, sono stati definitivamente annientati dalle nostre truppe, nonostante i piani di Trotsky.

Cosa significa questo dal punto di vista storico? Iniziamo dal fronte orientale. Scrive la commissione:

Nel momento culminante dell’offensiva dell’Esercito Rosso sul fronte orientale, Trotsky propose un piano sospetto: fermarsi davanti agli Urali; non inseguire più Kolciak e trasferire l’esercito dal fronte orientale al fronte meridionale.

Perché mai? Scrive Stalin che

i fatti si svolgono nell’estate del 1919. Le nostre truppe avanzano contro Kolciak e operano sotto Ufa. Seduta del Comitato Centrale. Trotsky propone di trattenere l’offensiva lungo il fiume Bielaia, presso Ufa, lasciando gli Urali nelle mani di Kolciak, di togliere una parte delle truppe dal fronte orientale e trasferirle sul fronte meridionale. Si svolge un’aspra discussione. Il Comitato Centrale non è d’accordo con Trotsky, ritenendo che non si possono lasciare nelle mani di Kolciak gli Urali con le loro officine e la loro rete ferroviaria, dove egli potrebbe facilmente riprendersi, radunare un nucleo di uomini decisi e venire a trovarsi nuovamente sul Volga. Bisogna prima cacciare Kolciak al di là della catena degli Urali, nelle steppe siberiane, e solo dopo operare il trasferimento delle forze nel sud. Il Comitato Centrale respinge il piano di Trotsky e quest’ultimo rassegna le dimissioni. Il suo posto viene preso dal nuovo comandante in capo Kamenev. Da quel momento Trotsky non partecipa più direttamente agli affari del fronte orientale.

Passiamo ora al fronte meridionale. Scrive la commissione incaricata dal comitato centrale che

Denikin cominciò la sua grande campagna contro il potere sovietico nell’estate del 1919. Trotsky aveva disorganizzato il lavoro del fronte meridionale e i nostri soldati subivano una sconfitta dopo l’altra. Verso la metà di ottobre, i bianchi erano padroni di tutta l’Ucraina, avevano messo le mani su Orel e minacciavano Tula, che riforniva il nostro esercito di cartucce, di fucili, di mitragliatrici. I bianchi si avvicinavano a Mosca e la situazione della Repubblica diveniva sempre più grave. Allora il partito diede l’allarme e lanciò l’appello al popolo per la resistenza. Lenin lanciò la parola d’ordine: «Tutti alla lotta contro Denikin».

Continua la commissione:

Per organizzare l’annientamento di Denikin, il Comitato Centrale inviò sul fronte meridionale i compagni Stalin, Voroscilov, Orgionikidze, Budionny. Trotsky fu tolto dalla direzione delle operazioni militari del Sud.

Scrive Stalin che

l’offensiva contro Denikin subisce uno scacco. Il “cerchio di acciaio” attorno a Mamontov fallisce nettamente. Denikin occupa Kursk e si avvicina a Oriol. Trotsky viene richiamato dal fronte meridionale per partecipare alla seduta del Comitato Centrale. Il Comitato Centrale riconosce che la situazione è allarmante e decide di richiamare Trotsky e di inviare sul fronte meridionale nuovi dirigenti militari. Le operazioni su questo fronte, fino alla presa di Rostov sul Don e di Odessa da parte nostra, si svolgono senza Trotsky. Provino un po’ a confutare questi fatti.

Passiamo ora a un terzo fronte. Quello ucraino e polacco. Siamo nell’aprile del 1920. Scrive la commissione che

le truppe polacche invadevano l’Ucraina sovietica e si impadronivano di Kiev. Nello stesso tempo, si minacciava il bacino del Donetz.

All’aggressione dell’esercito polacco, l’Esercito Rosso rispose passando alla controffensiva su tutto il fronte. Liberata Kiev e scacciati i signori della terra polacchi dall’Ucraina e dalla Bielorussia, l’Armata Rossa del fronte meridionale, nel suo impetuoso slancio, giunse fino alle porte di Leopoli in Galizia, mentre quella del fronte occidentale si avvicinava a Varsavia.

L’esercito dei signori della terra polacchi stava per essere sgominato del tutto.

Ma Trotsky e i suoi fautori al Gran Quartier Generale dell’Esercito Rosso compromisero i nostri successi. Per colpa di Trotsky e di Tukhacevski, l’offensiva dell’Esercito Rosso sul fronte occidentale, verso Varsavia, procedeva in modo assolutamente disorganizzato; non si lasciava tempo ai soldati di consolidarsi sulle posizioni conquistate; le unità di punta furono lanciate avanti troppo in fretta e si trovarono senza riserve e senza munizioni, rimaste troppo lontane nelle retrovie. La linea del fronte era stata allungata enormemente, il che ne facilitava la rottura.

Perciò, quando un debole contingente di truppe polacche ruppe il nostro fronte occidentale in un settore, le nostre truppe, sprovviste di munizioni, furono costrette a indietreggiare. Circa, poi, le armate del fronte meridionale che battevano già alle porte di Leopoli e ricacciavano i polacchi, Trotsky proibì loro di prendere la città e ingiunse loro di staccare, lontano, verso il nord-est, col pretesto di appoggiare il fronte occidentale, l’armata di cavalleria, ossia la forza principale del fronte meridionale, benché fosse intuitivo che la presa di Leopoli era il solo, ed il migliore, aiuto possibile da prestare al fronte occidentale. Invece, il ritiro dell’armata di cavalleria dal fronte meridionale e il suo allontanamento dalla zona di Leopoli significavano in realtà la ritirata del nostro Esercito anche sul fronte meridionale. È così che Trotsky, con un ordine che era un tradimento, impose alla nostra armata del fronte meridionale una ritirata che essa non riusciva a comprendere e completamente ingiustificata, fonte di gioia per i signori della terra polacchi.

Era veramente un aiuto diretto, non già al nostro fronte occidentale, bensì ai signori della terra polacchi e all’Intesa.

Sedici. Vediamo ora la famosa questione della “militarizzazione dei sindacati”.

Ci siamo lasciati alle spalle la guerra, i conflitti e si trattava ora di avviare il passaggio alla costruzione in periodo di pace del socialismo. Per Lenin e la maggioranza dei bolscevichi si trattava ora di abbandonare il cosiddetto “comunismo di guerra” in modo definitivo. Ahimè vi erano nel partito componenti che pensavano il contrario.

Scrive la commissione che

non tutti i membri del partito erano d’accordo col Comitato Centrale. I gruppetti d’opposizione: trotzkisti, «opposizione operaia», «comunisti di sinistra», «centralisti democratici», e così via, erano disorientati e le difficoltà da affrontare sulle soglie dell’edificazione pacifica dell’economia li rendevano esitanti.

Non essendo veri marxisti, ignorando le leggi dello sviluppo economico, non essendo stati temprati leninisticamente, essi non facevano che aumentare il caos e le oscillazioni di questi gruppetti d’opposizione. Gli uni pensavano che non era necessario attenuare il duro regime del comunismo di guerra, ma che, al contrario, bisognava «stringere ancora le viti».

Colui che voleva “stringere le viti” più di altri fu proprio Trotsky, contro invece la linea della persuasione attuata e decisa dal Comitato Centrale del partito. Riporta la commissione che

Trotsky prese la parola in una riunione dei delegati comunisti alla V Conferenza dei sindacati di Russia, tenutasi all’inizio del novembre del 1920, e formulò delle parole d’ordine equivoche che parlavano di «stringere le viti» e di «scuotere i sindacati». Trotsky propose che si procedesse all’immediata «statizzazione dei sindacati». Contrario al metodo della persuasione nei riguardi delle masse operaie, voleva introdurre i sistemi militari nei sindacati, combatteva lo sviluppo della democrazia nei sindacati, l’eleggibilità degli organi sindacali. Invece del metodo della persuasione, senza di cui non è concepibile l’attività delle organizzazioni operaie, i trotzkisti proponevano il metodo della pura costrizione, del comando puro e semplice.

Ciò metteva in pericolo la dittatura del proletariato.

Diciassette. Arriviamo alla NEP (Nuova Politica Economica). Come riporta Ludo Martens, la NEP era agli occhi di Lenin un passo indietro che avrebbe permesso, in un prossimo futuro, di fare tre passi in avanti. Nel fare concessioni alla piccola borghesia, Lenin non dimenticò mai la prospettiva socialista. Dichiara Lenin relativamente alla NEP nel 1922 davanti al Soviet di Mosca:

Nuova politica economica! Strano termine. Questa politica è stata chiamata nuova perché essa segna un arretramento. Attualmente noi indietreggiamo, sembra che indietreggiamo, ma noi agiamo così per indietreggiare in un primo tempo e in seguito prendere lo slancio e fare un salto più potente in avanti.

Permettetemi di concludere esprimendo la certezza che, per quanto difficile si presenti questo compito, noi tutti insieme, non domani, ma nel corso di alcuni anni, lo adempiremo a qualunque costo per far sì che la Russia della NEP si trasformi nella Russia Socialista.

Contro la linea politica della NEP, vi erano da una parte la componente di sinistra che consideravano la NEP una sorta di ritorno al capitalismo e la fine del potere sovietico. La sconfitta, insomma, della prospettiva socialista in Russia. Ma dall’altra parte vi erano Trotsky e i soliti Radek, Zinoviev, Kamenev, Bucharinn, Rykov, ecc. i quali non credevano alla possibilità della costruzione del socialismo in un solo paese, ovvero la Russia, e, come riporta la commissione,

si genuflettevano di fronte alla «potenza» del capitalismo, e, mirando a rafforzare le posizioni del capitalismo nel paese sovietico, reclamavano grandi concessioni a favore del capitale privato tanto all’interno del paese che all’estero, pretendevano che si cedessero al capitale privato molte leve di comando del potere sovietico nell’economia nazionale, sotto la forma di concessioni o di società anonime miste per azioni cui avrebbe partecipato il capitale privato.

Nel 1921 il partito avviò una grande lavoro, necessario, sempre necessario, di epurazione che, come riporta la commissione,

avvenne in assemblee pubbliche con la partecipazione dei non aderenti al partito. Lenin aveva raccomandato: epurate a fondo il partito «... dai comunisti rammolliti, burocratizzati, disonesti, dalle canaglie e dai menscevichi, che hanno “riverniciato la facciata”, ma che in cuore son rimasti menscevichi».

Come riposta Ludo Martens,

fu proprio la questione della possibilità di costruire il socialismo in Unione Sovietica [in un solo paese] a provocare, a partire dal 1922, un ampio dibattito ideologico e politico che si protrasse fino al biennio 1926-1927. Trotsky ne fece un cambio di battaglia per combattere le idee leniniste.

Nel 1919, Trotsky riprese, dandole una pennellata di nuovismo, il testo “Bilanci e Prospettive” già pubblicato nel 1905/1906. Riprendere nel 1919 tesi pubblicate durante i 3 anni della prima rivoluzione russa la dice lunga sulle profonde mancanze di conoscenza del marxismo, sulle profonde mancanze dialettiche, di Trotsky. Il periodo zarista del 1905/1906 non poteva assolutamente essere coincidente o equivalente al 1919, periodo post-rivoluzionario in cui la classe operaia era al potere e non lo zar. Ma tant’è, Trotsky afferma in questo suo testo rispolverato che

lo sviluppo delle idee che vi si trovano si avvicina molto, nelle principali ramificazioni, alle condizioni della nostra epoca.

Come ciò fosse possibile, lo sapeva evidentemente solo Trotsky. Ma cosa dice Trotsky nella sua strategia che aveva sviluppato nel 1905-1906 e che ora riproponeva nel 1919?

Si chiede Trotsky:

Fino a che punto la politica socialista della classe operaia può essere applicata nelle condizioni economiche della Russia? C'è una cosa che si può dire con certezza: essa si scontrerà con ostacoli politici ben prima d'inciampare nell'arretratezza tecnica del paese. Senza il sostegno statale diretto del proletariato europeo, la classe operaia russa non potrà restare al potere e trasformare il suo dominio temporaneo in dittatura socialista durevole. A questo riguardo non è permesso alcun dubbio.

In altre parole, senza la rivoluzione nei paesi europei era, secondo Trotsky, impossibile avviare la costruzione del socialismo in Russia in modo durevole. Come sappiamo ora ciò fu ed è totalmente falso, e se l’Unione Sovietica si avviò in un processo controrivoluzionario sicuramente non fu colpa della classe operaia ma dei controrivoluzionari come Trotsky, e a seguire di Krusciov e di personaggi simili.

Continua Trotsky:

Costretta a basarsi sulle proprie risorse, la classe operaia russa sarà inevitabilmente schiacciata dalla controrivoluzione, poiché le masse contadine le volteranno le spalle. Essa non avrà altre possibilità che legare le sorti del suo potere politico, e di conseguenza le sorti di tutta la rivoluzione russa, a quelle della rivoluzione socialista in Europa. Essa getterà sulla bilancia della lotta di classe dell'intero mondo capitalista l'enorme peso politico e statale che le avrà dato un concorso momentaneo di circostanze nella rivoluzione borghese russa.

Naturalmente la questione per come si è poi storicamente svolta non fa ricadere la colpa della controrivoluzione sulla classe contadina, che anzi durante tutto il processo della collettivizzazione aveva sconfitto i kulaki grazie al grande apporto diretto della classe operaia. La controrivoluzione fu portata avanti da Trotsky e tanti altri filo-borghesi come Kamenev, Zinoviev, Bucharin, e a seguire Krusciov e compagni.

Come riporta giustamente Ludo Martens,

ripetere queste parole nel 1919 è già scivolare verso il disfattismo e l’avventurismo.

Continua Ludo Martens:

Per mostrare fino a che punto [Trotsky] sosteneva le vecchie concezioni antileniniste, egli pubblicò, nel 1922, una nuova edizione del suo libro del 1906, arricchita da una prefazione in cui riaffermava la giustezza delle sue prospettive politiche. A coloro che chiedevano se tutto ciò non fosse in contraddizione con il fatto che la dittatura del proletariato si manteneva da cinque anni, Trotsky rispose nella prefazione del 1922 al suo testo nel solito modo, ovvero:

Il fatto che lo Stato operaio in un solo paese, per di più arretrato, si sia mantenuto contro il mondo intero testimonia della potenza colossale del proletariato, una potenza che, negli altri paesi più avanzati, più civilizzati, sarà realmente capace di compiere prodigi. Ma noi, essendo ora politicamente e militarmente uno Stato, non siamo riusciti a creare una società socialista, non ci siamo neppure avvicinati alla sua realizzazione ... Il vero sviluppo dell'economia socialista in Russia non sarà possibile se non dopo la vittoria del proletariato nei principali paesi dell'Europa.

Da una parte, quindi, Trotsky cerca di coprire la sua vecchia teoria fallace rimarcando la “potenza colossale del proletariato”, dall’altra però la classe operaia non sarebbe capace di realizzare il socialismo in un solo paese, la Russia, senza le rivoluzioni in Germania, Francia, Belgio, ecc.

Vogliamo qui essere chiari. Trotsky, nel 1919, due anni dopo la vittoriosa rivoluzione socialista dichiarava che senza il sostegno statale diretto del proletariato europeo, la classe operaia russa non avrebbe potuto restare al potere e trasformare il suo dominio temporaneo in dittatura socialista durevole.

Dopo cinque anni dalla vittoriosa rivoluzione socialista, nel 1922, è costretto a rettificare dicendo che, sì, in questi cinque anni si è dimostrato che la classe operaia è una potenza ma che tutto sommato non sarà in grado di continuare la costruzione del socialismo. La storia ha smentito la fasulla teoria di Trotsky su tutta la linea. Non solo in Unione Sovietica, che come abbiamo detto, intraprese la via della controrivoluzione a causa proprio di Trotsky, dei trotskisti e di tanti altri, ma ora il socialismo è in costruzione anche in altri paesi nel mondo, senza che si veda traccia di rivoluzioni nei paesi più industrializzati occidentali.

Continua Ludo Martens:

Fin dal 1902, Trotsky aveva costantemente osteggiato le prospettive che Lenin aveva tracciate per la rivoluzione democratica e la rivoluzione socialista in Russia. Riaffermando, proprio prima della morte di Lenin, che la dittatura del proletariato sarebbe necessariamente entrata in collisione con l'ostilità delle masse contadine e che, di conseguenza, non ci sarebbe stata altra salvezza per il socialismo sovietico al di fuori della rivoluzione vittoriosa nei paesi «più civilizzati», Trotsky tentava di sostituire il suo programma a quello di Lenin. Dietro uno sproloquio sinistroide sulla "rivoluzione mondiale" Trotsky riprendeva l'idea fondamentale dei menscevichi: era impossibile costruire il socialismo in Unione Sovietica. I menscevichi dicevano apertamente che né le masse né le condizioni oggettive erano mature per il socialismo. Trotsky, da parte sua, diceva che il proletariato, in quanto classe specifica, e le masse dei contadini individualisti, dovevano necessariamente entrare in collisione. Senza il sostegno esterno di una rivoluzione europea vittoriosa, la classe operaia sovietica sarebbe stata incapace di edificare il socialismo. Con questa conclusione, Trotsky si ricongiungeva ai suoi amici di gioventù, i menscevichi.

Diciotto. Nel 1923, nella sua lotta per prendere il potere in seno al Partito Bolscevico, Trotsky lancia una seconda offensiva, come ci riporta Ludo Martens ed è ciò che Stalin riporta nel suo lavoro “Trotzkismo o Leninismo?” come secondo punto dei tratti caratteristici del nuovo trotzkismo.

In particolare, Trotsky

cercò di mettere da parte i vecchi quadri del Partito a favore dei giovani, che sperava di poter manipolare.

Speriamo con questa ultima lezione di aver dato un quadro abbastanza esaustivo di Trotsky, del trotzkismo e della sua egocentrica contrapposizione a Lenin e Stalin, sin dal 1903. Chiudendo questo lavoro di Stalin riportiamo ciò che Ludo Martens scrive nel suo “Stalin, un altro punto di vista”, ovvero che

nel 1904, Trotsky aveva combattuto con particolare virulenza la concezione leninista del partito. Aveva tacciato Lenin di essere uno «scissionista fanatico», un «rivoluzionario democratico-borghese», un «feticista dell'organizzazione», un partigiano di un «regime da caserma», lo aveva accusato di «meschinità organizzativa», di essere un «dittatore che voleva sostituirsi al Comitato Centrale», un «dittatore che voleva instaurare la dittatura sul proletariato», per il quale «qualsiasi interferenza di elementi che pensano diversamente è un fenomeno patologico».

Trotsky si rivela come un individuo borghese inveterato. Tutte le calunnie e gli insulti che, per più di venticinque anni, egli riverserà su Stalin, li aveva sputati sulla figura di Lenin. Trotsky si accanì nel dipingere Stalin come un dittatore che regnava sul Partito. Ma, quando Lenin aveva creato il Partito Bolscevico, Trotsky l'aveva accusato di instaurare una «teocrazia ortodossa» e un «centralismo autocratico-asiatico».

Nel 1923, spesso con gli stessi termini che aveva usato contro Lenin, Trotsky attaccò la Direzione del Partito e Stalin.

Scrive Ludo Martens che

nella sua concezione piccolo-borghese, Trotsky rifiutava le gerarchie e le differenze dei livelli di responsabilità, così come la disciplina. Il suo ideale era, come Trotsky stesso riporta nel suo lavoro “I nostri compiti politici”

la personalità politica globale, che faceva rispettare di fronte a tutti i "centri" la sua volontà e questo in tutte le forme possibili, fino ed incluso il boicottaggio.

Era il credo di un individualista, di un anarchico.

 

Ultima modifica ilGiovedì, 31 Ottobre 2024 14:52
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