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Il rapporto tra salario e profitto In evidenza
In questa lezione del seminario “Incontro con Lenin”, continuiamo a trattare il testo di Lenin “Tre fonti e tre parti integranti del marxismo”. Ripartiamo dall’ultima lezione dal titolo “Perché l’operaio non insorge contro lo sfruttamento del capitalista?”
Ritornando all’esempio della vendita della merce per 18 scellini, poiché ciò è il valore in denaro della merce, valore costituito sempre in denaro da 15 scellini anticipati dal capitalista: 12 di capitale costante e 3 di salario e altri 3 scellini che equivalgono al valore in denaro delle 6 ore in più lavorate gratuitamente dall’operaio, questo plusvalore di 3 scellini rappresenta il fondo intero che l'imprenditore capitalista può dividere, in una proporzione qualsiasi, col proprietario fondiario e con colui che gli ha prestato il denaro.
Video-lezione disponibile sul canale YouTube della Scuola Rossa: https://youtu.be/pFOxS8xTpak?si=_L-Xzb-8WSdraSkJ
Il valore di questi 3 scellini costituisce il limite del valore che essi hanno da ripartire fra loro. Nessun attore sceglie in modo arbitrario la quantità di denaro da raccattare; l’imprenditore capitalista non sceglie in modo arbitrario quanto profitto farà così come il proprietario della terra non sceglie in modo arbitrario la rendita da ricevere e il proprietario del denaro l’interesse da intascare. La totalità del plusvalore è la totalità del tempo di lavoro non pagato al salariato da parte dell’imprenditore capitalista che deve essere scomposto in proporzioni diverse con il proprietario fondiario, il capitalista-banchiere-usuraio e l’imprenditore capitalista stesso. Il plusvalore non è la somma arbitraria dei valori decisi dal proprietario della terra, dal capitalista-banchiere-usuraio e dall’imprenditore capitalista. In altre parole, se l’operaio lavora 6 ore gratuitamente, come pluslavoro, e tali 6 ore incorporano nel prodotto un valore di 3 scellini, il plusvalore, egli avrà lavorato gratuitamente una parte delle 6 ore per il proprietario della terra, una parte per il capitalista-banchiere-usuraio e una parte per l’imprenditore capitalista. La somma di queste parti-valori deve fare 3 scellini e la somma dei tempi di lavoro gratuito dedicato ai diversi attori, attraverso la figura dell’imprenditore capitalista, deve fare 6 ore.
In questo esempio, i 3 scellini sono il plusvalore come grandezza assoluta che poi verrà forse ripartita, come abbiamo visto, con altri attori economici. Il rapporto tra i 3 scellini in quanto plusvalore e il capitale totale anticipato è il saggio del profitto e sta ad indicare la valorizzazione del capitale. Essendo il capitale anticipato pari a 15 scellini, 12 di capitale costante e 3 di capitale variabile, il saggio del profitto è 3/15 x 100 = 20%. Il capitale si sarà valorizzato, quindi, del 20%.
Il saggio del plusvalore, invece, che è il rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile anticipato e che misura il grado di sfruttamento della forza-lavoro, è 3/3 x 100 = 100%. Quindi, metà del tempo di lavoro giornaliero l’operaio lavorerà per ricostituire il salario; l’altra metà gratuitamente. Questo valore è fondamentale per la classe operaia poiché è l’unico che indica in modo chiaro il vero rapporto fra lavoro pagato e lavoro non pagato.
Cosa comprendiamo da questa analisi sino ad ora esposta?
Semplicemente che più bassi sono i salari, più alti saranno i profitti. E viceversa. Una nota: per profitto stiamo considerando il plusvalore materializzato e non solo la quota parte di esso che va all’imprenditore capitalista.
Prima di procedere, breve sintesi per punti di ciò che abbiamo esposto. Ovvero, riprendiamo il nostro esempio:
- la produzione della quantità media di beni di sussistenza necessari alla vita di un operaio richiede 6 ore di lavoro medio e queste 6 ore di lavoro medio sono incorporate in una quantità d'oro uguale a 3 scellini;
- la produzione del capitale costante (materie prime, strumenti del lavoro, materia ausiliarie, ecc.) richiede 24 ore di lavoro medio e queste 24 ore di lavoro medio sono incorporate in una quantità d’oro uguale a 12 scellini;
- il valore complessivo del capitale, costante più variabile, è di 15 scellini poiché richiede 30 ore di lavoro medio, semplice, indifferenziato per la sua produzione.
- la giornata di lavoro che l’operaio deve dedicare all’atto della produzione è di 12 ore.
- nelle prime 6 ore di lavoro l’operaio recupera il valore della sua forza-lavoro. Le altre sei sono pluslavoro che il capitalista intasca come plusvalore;
- infine, quindi, il valore complessivo del capitale anticipato più il sovraprodotto è di 18 scellini poiché equivalente, in oro, alle 36 ore di lavoro medio, semplice, indifferenziato.
Le ultime 6 ore di pluslavoro sono quelle che contano per il capitalista poiché in quelle 6 ore di lavoro medio, semplice e indifferenziato sono incorporati i 3 scellini di plusvalore.
Proviamo ora a togliere dalle 36 ore di lavoro medio, semplice e indifferenziato le 24 ore che corrispondono alla quantità di tempo di lavoro che è stato necessario alla produzione del capitale costante. Le 12 ore di lavoro rimanente sono quelle che l’ultimo operaio nella divisione del lavoro deve fare per produrre la merce finale. Come abbiamo visto, 12 ore di lavoro medio corrispondono a una quantità d’oro di 6 scellini. Questi 6 scellini costituiscono l’unico fondo possibile dal quale salario e profitto emergono. L’insieme dei 6 scellini costituisce ciò che deve essere partizionato tra salario e profitto. Il valore dei 6 scellini è dato; ciò che cambia è la ripartizione tra salario e profitto. Naturalmente, ciò che noi ora stiamo dicendo per il singolo operaio può essere tranquillamente generalizzato, esteso all’intera classe operaia.
Scrive Marx che
poiché il capitalista e l'operaio hanno da suddividersi solo questo valore limitato, cioè il valore misurato dal lavoro totale dell'operaio, quanto più riceve l'uno, tanto meno riceverà l'altro, e viceversa.
I 6 scellini sono dati poiché corrispondono al valore determinato dalle 12 ore di lavoro medio, ed essi possono essere ripartiti per esempio nei seguenti casi:
- in 3 scellini per il salario e gli altri 3 scellini come plusvalore in denaro;
- 2 scellini per il salario e gli altri 4 scellini come plusvalore in denaro;
- 4 scellini per il salario e 2 scellini come plusvalore in denaro.
Scrive Marx che
siccome non esiste che una quantità, una parte aumenterà nella stessa proporzione in cui l'altra diminuisce. Se i salari cambiano, il profitto cambierà in direzione opposta. Se i salari diminuiscono, aumenteranno i profitti; se i salari aumentano, i profitti diminuiranno.
Nel primo caso, i 6 scellini sono ripartiti in modo equo tra salario e profitto e il saggio del plusvalore è uguale a 3/3 x 100 = 100%. Il saggio del profitto, invece, è 3/15 x 100 = 20%.
Nel secondo caso, i 6 scellini sono ripartiti in 2 scellini come salario e 4 scellini come plusvalore in denaro. Il saggio del plusvalore è uguale a 4/2 x 100 = 200%. Il saggio del profitto, invece, è 4/15 x 100 = 26,7%. In questo caso, il grado di sfruttamento è raddoppiato mentre la valorizzazione del capitale passa dal 20% al 26,7%.
Nel terzo caso, gli scellini sono ripartiti in 4 scellini per il salario e 2 scellini come plusvalore in denaro. Il saggio del plusvalore è uguale a 2/4 x 100 = 50%. Il saggio del profitto, invece, è 2/15 x 100 = 13,3%. In questo caso, il grado di sfruttamento dell’operaio da parte del capitalista è dimezzato rispetto al caso primo caso, così come la valorizzazione del capitale passa dal 20% al 13,3%.
In tutto questo, il valore della merce rimane invariata e quindi invariato rimane il suo prezzo di mercato che in media e nel lungo periodo equivale al suo prezzo normale, ovvero al valore della merce in denaro.
Abbiamo quindi evidenziato come un aumento dei salari sia la causa della caduta del saggio del profitto e del saggio del plusvalore, a valore della merce invariato.
Scrive Marx che
un aumento generale dei salari provocherebbe dunque una caduta del saggio generale del profitto, ma non eserciterebbe nessuna influenza sul valore. Sebbene i valori delle merci, che debbono regolare in ultima analisi il loro prezzo di mercato, vengono determinati unicamente dalla quantità complessiva del lavoro in esse cristallizzato, e non dalla ripartizione di questa quantità in lavoro pagato e in lavoro non pagato, non ne deriva affatto che i valori di singole merci o di un certo numero di merci che vengono prodotte, per esempio, in dodici ore, restino costanti.
Il valore della merce cambia solo al variare della quantità di tempo di lavoro socialmente necessario alla sua produzione. Abbiamo già trattato questo aspetto, ma riprendiamo il caso di una diminuzione della quantità di tempo di lavoro necessario alla produzione di una merce. Ciò avviene quando vi è un aumento del grado di sviluppo delle forze produttive. In questo caso, la quantità di merci prodotte a parità di giornata o settimana di lavoro aumenterebbe e ciò implica una diminuzione del tempo di lavoro necessario per la produzione di una unità di merce.
Riprendendo l’esempio numerico, 12 ore di lavoro sono incorporate in una quantità d’oro uguale a 6 scellini. In queste 12 ore si produce 1 abito il cui valore in denaro è appunto 6 scellini. Questo avviene con un grado di sviluppo delle forze produttive storicamente determinato. Supponiamo ora che vi sia una rivoluzione tecnica che causi l’aumento del grado di sviluppo delle forze produttive, e ciò consenta nelle 12 ore di lavoro medio di produrre 2 abiti, invece di 1 solo. Abbiamo quindi che essendo il tempo di lavoro medio sempre di 12 ore, i 2 abiti avranno insieme il valore in denaro di 6 scellini. 3 scellini per abito, quindi. Il raddoppio della quantità di merce prodotta entro le stesse 12 ore causa il dimezzamento del valore dell’unità di merce. Se prima, l’abito aveva un prezzo normale di 6 scellini, con l’aumento del grado di sviluppo delle forze produttive tale da raddoppiare il prodotto all’interno della stessa durata di tempo di lavoro giornaliero, il prezzo normale dell’abito scende a 3 scellini. Equivalentemente, se prima la quantità di tempo di lavoro medio, semplice, socialmente necessario alla produzione di 1 abito era di 12 ore, ora è di 6 ore con l’aumento del grado di sviluppo delle forze produttive.
Ciò che è stato detto è equivalente all’esempio di Marx che qui riprendiamo.
Scrive Marx che
con un determinato grado di forze produttive del lavoro di filatura, per esempio, con una giornata di lavoro di dodici ore si producono dodici libbre di filo; con un grado inferiore di forze produttive soltanto due libbre. Quindi, se nel primo caso dodici ore di lavoro medio sono incorporate in un valore di sei scellini, le dodici libbre di filo costeranno sei scellini; nell'altro caso, le due libbre di filo costeranno pure sei scellini. Una libbra di filo costerà dunque sei denari (mezzo scellino) nel primo caso, e tre scellini nel secondo. La differenza di prezzo sarebbe una conseguenza della differenza delle forze produttive del lavoro impiegato. Nel caso della maggiore forza produttiva, in una libbra di filo sarebbe incorporata un'ora di lavoro, mentre nel caso della minore forza produttiva in una libbra di filo sarebbero incorporate sei ore di lavoro. Il prezzo di una libbra di filo sarebbe, nel primo caso, soltanto di sei denari, quantunque i salari siano relativamente alti e basso il saggio del profitto. Nell'altro caso sarebbe di tre scellini, quantunque i salari siano bassi e alto il saggio del profitto. E avverrebbe così perché il prezzo della libbra di filo è determinato dalla quantità complessiva del lavoro che essa contiene e non dal rapporto fra lavoro pagato e lavoro non pagato in cui questa quantità complessiva si scompone.
Stiamo quindi discutendo di due casi: la partizione tra salario e profitto a parità di ore lavorate, e il come varia il valore della merce. In particolare, abbiamo supposto nel primo caso che il valore della merce rimane invariato e quindi invariato rimane il suo prezzo di mercato che in media e nel lungo periodo equivale al suo prezzo normale, ovvero al valore della merce in denaro. In questo caso, l’aumento dei salari è la causa della caduta del saggio del profitto e del saggio del plusvalore, a valore della merce invariato, e la diminuzione dei salari è causa dell’aumento del saggio del profitto e del saggio del plusvalore. Il secondo caso che abbiamo visto, invece, è come varia il valore della merce il quale cambia solo al variare della quantità di tempo di lavoro necessario alla sua produzione, e ciò a prescindere dalla partizione del valore tra salario e profitto. Tale aumento oppure diminuzione del valore della merce dipende dall’aumento oppure dalla diminuzione del grado di sviluppo delle forze produttive, come discusso in passato. Più aumenta il grado di sviluppo delle forze produttive, più decresce il valore della singola unità di merce poiché meno tempo di lavoro è necessario per la sua produzione. In definitiva, i valori delle merci sono direttamente proporzionali alla quantità di tempo di lavoro impiegato per la produzione di esse, e inversamente proporzionale al grado di sviluppo delle forze produttive impiegate.
Vediamo ora, invece, alcuni casi che concernono la diminuzione oppure l’aumento dei salari.
Il primo caso è legato al prezzo della forza-lavoro, il salario appunto. Il valore della forza-lavoro è determinato dal valore del paniere di beni di sussistenza necessari alla vita, alla conservazione e alla riproduzione dell’operaio. Nell’esempio discusso nelle scorse lezioni, avevamo considerato che il valore di questi beni di sussistenza necessari in media quotidianamente all’operaio fosse di 3 scellini, valore in denaro di 6 ore di lavoro. Nel caso di una giornata di 12 ore di lavoro, abbiamo visto che metà della giornata sarebbe lavoro pagato, l’altra metà di lavoro non pagato. Questo è il primo caso discusso.
Supponiamo ora che il valore dei beni di sussistenza necessari all’operaio per la sua vita, conservazione e riproduzione aumenti poiché aumenta la quantità di tempo di lavoro necessario per la produzione di questo cestino di beni, e come visto la scorsa volta, per motivazioni legate a una riduzione della produttività. In altre parole, le stesse quantità di beni di sussistenza vengono prodotte con tempi più lunghi e minore è la quantità prodotta a parità di giornata di lavoro. Una singola unità di merce, quindi, ha un valore aumentato.
Scrive Marx che
supponiamo ora che, in seguito a una riduzione della produttività, occorra più lavoro per produrre, poniamo, la stessa quantità di prodotti del suolo, di modo che il prezzo dei mezzi di sussistenza consumati in media ogni giorno aumenti da tre a quattro scellini.
Cosa comporta questo incremento nel valore dei beni di sussistenza necessari alla vita, alla conservazione e alla riproduzione dell’operaio? Prima di tutto, ora il valore del cestino dei beni di sussistenza necessari all’operaio è aumentato da 3 a 4, e ciò comporta che l’operaio deve lavorare 8 ore invece di 6 per produrre l’equivalente del suo ‘aumentato’ salario. Stiamo qui supponendo che il salario sia in effetti aumentato tenendo conto dell’aumento del prezzo del cestino di beni di sussistenza necessari in media all’operaio giornalmente. Ciò implica una riduzione del plusvalore a parità di 12 ore di lavoro giornaliere che passa da 3 scellini a 2 scellini, poiché il plus-lavoro cala da 6 ore a 4 ore. Siamo nel caso 3 discusso precedentemente, e di conseguenza il saggio del plusvalore diminuisce dal 100% al 50%, così come il saggio del profitto diminuisce dal 20% al 13,3%. Nel caso in cui, invece, il salario non aumentasse in quanto valore in denaro della forza-lavoro ma rimanesse di 3 scellini, il salario pagato dal capitalista sarebbe al di sotto del valore della forza-lavoro. In altre parole, il prezzo di vendita della forza-lavoro sarebbe al di sotto del prezzo normale della forza-lavoro; al di sotto cioè del valore della forza-lavoro in denaro.
Scrive Marx che
se i salari non aumentassero, o se non aumentassero abbastanza per compensare il maggior valore degli oggetti di prima necessità, il prezzo del lavoro cadrebbe al di sotto del valore del lavoro e il tenore di vita dell'operaio peggiorerebbe.
Analizziamo ora il caso diametralmente opposto.
Supponiamo che il valore dei beni di sussistenza necessari all’operaio per la vita, conservazione e riproduzione diminuisca poiché diminuisce la quantità di tempo necessario per la produzione di questo cestino di beni di sussistenza, e come abbiamo visto la scorsa volta, per motivazioni legale all’aumento del grado di sviluppo delle forze produttive. In altre parole, le stesse quantità di beni di sussistenza vengono prodotte in tempi più brevi e maggiore è la quantità prodotta a parità di giornata di lavoro. Una singola unità di merce, quindi, ha un valore diminuito.
Scrive Marx che
grazie all'aumentata produttività del lavoro, la stessa quantità di oggetti di prima necessità per il consumo medio giornaliero potrebbe cadere da tre a due scellini.
Cosa comporta questa diminuzione nel valore dei beni di sussistenza necessari alla vita, alla conservazione e alla riproduzione dell’operaio? Prima di tutto, ora il valore del cestino dei beni di sussistenza necessari all’operaio è diminuito da 3 a 2, e ciò comporta che l’operaio deve lavorare 4 ore invece di 6 per produrre l’equivalente del suo ‘diminuito’ salario. Stiamo qui supponendo che il salario sia in effetti diminuito tenendo conto della diminuzione del prezzo del cestino di beni di sussistenza necessari in media all’operaio giornalmente. Ciò implica un aumento del plusvalore a parità di 12 ore di lavoro giornaliere che passa da 3 scellini a 4 scellini, poiché il plus-lavoro aumenta da 6 ore a 8 ore. Siamo nel caso 2 discusso precedentemente, e di conseguenza il saggio del plusvalore aumenta dal 100% al 200%, così come il saggio del profitto aumenta dal 20% al 26,7%. Nel caso in cui, invece, il salario non diminuisse in quanto valore in denaro della forza-lavoro ma rimanesse di 3 scellini, il salario pagato dal capitalista sarebbe al di sopra del valore della forza-lavoro. In altre parole, il prezzo di vendita della forza-lavoro sarebbe al di sopra del prezzo normale della forza-lavoro; al di sopra cioè del valore della forza-lavoro in denaro. Il tenore dell’operaio aumenterebbe poiché con un prezzo di mercato della forza-lavoro intoccato, acquisterebbe più beni di sussistenza rispetto al periodo precedente alla diminuzione nel valore dei beni di sussistenza stessi.
Il secondo caso che vediamo oggi è relativo alla giornata di lavoro. Noi abbiamo supposto nel nostro esempio, una giornata di 12 ore. Sappiamo che il valore della forza-lavoro è determinato dalla quantità di tempo di lavoro necessaria alla vita, alla conservazione e alla riproduzione dell’operaio, e tale quantità di tempo non ha rapporti con la quantità di tempo che l’operaio dedica, poiché contrattualmente previsto, all’atto della produzione. Tale quantità di tempo all’interno dei rapporti sociali di produzione capitalistici deve essere maggiore del valore della forza-lavoro e minore del limite psico-fisico dell’operaio. Abbiamo quindi un limite inferiore, ovvero il salario nominale, e un limite superiore dato dalle energie vitali psico-fisiche dell’operaio. È evidente che il capitalista tenderà sempre e comunque a prolungare fino al limite superiore la giornata di lavoro in modo tale da risucchiare dall’atto del lavoro dell’operaio più plusvalore possibile. Cos come il capitalista tenderà sempre e comunque ad abbassare il salario nominale dell’operaio.
Scrive difatti Marx che
la tendenza continua del capitale è di prolungarla [la giornata di lavoro] fino al suo estremo limite fisico, perché nella stessa misura aumentano il pluslavoro e quindi il profitto che ne deriva. Più il capitale riesce ad allungare la giornata di lavoro, più grande è la quantità di lavoro altrui di cui esso si appropria.
Andare oltre il limite superiore equivarrebbe alla distruzione della forza-lavoro. Ma i costi di produzione della forza-lavoro tengono conto anche del logorio della forza-lavoro stessa, esattamente come si tiene conto del logorio di uno strumento di produzione.
Scrive Marx in ‘Lavoro salariato e capitale’ che
il fabbricante, che calcola i costi di produzione e, a seconda di essi, il prezzo dei prodotti, tiene conto del logorio degli strumenti di lavoro. Se una macchina gli costa, per esempio, 1.000 sterline e si logora in dieci anni, egli conteggia 100 sterline all’anno nel prezzo della merce, per potere, dopo dieci anni, sostituire la macchina vecchia con una nuova. Allo stesso modo, nei costi di produzione della forza-lavoro devono essere conteggiati i costi di riproduzione, per cui la razza degli operai viene posta in condizione di moltiplicarsi e di sostituire gli operai logorati dal lavoro con nuovi operai. Il logorio dell’operaio viene dunque conteggiato allo stesso modo del logorio della macchina.
Naturalmente, aumentare la giornata di lavoro supponendo che il salario rimanga fisso poiché è invariato il valore del cestino di beni di sussistenza necessari alla vita, alla conservazione e alla riproduzione dell’operaio, consente al capitalista di aumentare il proprio profitto. Difatti il plusvalore aumenta con l’aumentare delle ore della giornata lavorativa a parità di salario, e aumenta con la diminuzione del salario a parità di ore lavorate giornalmente. Il crollo perfetto per la condizione individuale e sociale dell’operaio è la combinazione di questi due eventi: aumento delle ore che compongono la giornata lavorativa e la diminuzione delle ore del lavoro necessario:
Pv = L – Ln,
dove L è la quantità di ore della giornata lavorativa e Ln è la quantità di ore di lavoro necessario.
Il plusvalore assoluto è il plusvalore legato all'incremento delle ore della giornata di lavoro, oltre le ore lavorate necessarie come equivalente del salario. Il plusvalore relativo è il plusvalore ricavato dalla riduzione del lavoro necessario, ossia delle ore di lavoro destinate alla sopravvivenza e riproduzione dell’operaio, della famiglia.
Scrive Marx che il
prolungamento della giornata lavorativa oltre il punto fino al quale l’operaio avrebbe prodotto soltanto un equivalente del valore della sua forza-lavoro, e appropriazione di questo pluslavoro da parte del capitale: ecco la produzione del plusvalore assoluto. Essa costituisce il fondamento generale del sistema capitalistico e il punto di partenza della produzione del plusvalore relativo. In questa, la giornata lavorativa è divisa dal principio in due parti: lavoro necessario e pluslavoro. Per prolungare il pluslavoro, il lavoro necessario viene accorciato con metodi che servono a produrre in meno tempo l’equivalente del salario. Per la produzione del plusvalore assoluto si tratta soltanto della lunghezza della giornata lavorativa; la produzione del plusvalore relativo rivoluziona da cima a fondo i processi tecnici del lavoro e i raggruppamenti sociali. Dunque la produzione del plusvalore relativo presuppone un modo di produzione specificamente capitalistico che a sua volta sorge e viene elaborato spontaneamente, coi suoi metodi, coi suoi mezzi e le sue condizioni, solo sulla base della sussunzione formale del lavoro sotto il capitale.