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Marx e la soppressione del sistema del lavoro salariato In evidenza

In questa lezione del seminario “Incontro con Lenin”, continuiamo a trattare il testo di Lenin “Tre fonti e tre parti integranti del marxismo”. Ripartiamo dall’ultima lezione dal titolo “Il rapporto tra salario e profitto”. È l’ultima di una serie di lezioni collegate tra loro per la comprensione dei primi elementi del Capitale di Marx e che sono parte dei nostri seminari di approfondimento. “Incontro con Lenin”, appunto.

Video-lezione disponibile sul canale YouTube della Scuola Rossa: https://youtu.be/pnZlcgUvlGQ?si=Wro1djrGj2vt_NHZ

Quindi, continuiamo la nostra esposizione con l’esempio che portiamo avanti da diverse lezioni. In sintesi per rifare il punto, stiamo supponendo che:

  1. la produzione della quantità media di beni di sussistenza necessari alla vita di un operaio richieda 6 ore di lavoro medio e queste 6 ore di lavoro medio sono incorporate in una quantità d'oro uguale a 3 scellini;
  2. la produzione del capitale costante (materie prime, strumenti del lavoro, materia ausiliarie, ecc.) richiede 24 ore di lavoro medio e queste 24 ore di lavoro medio sono incorporate in una quantità d’oro uguale a 12 scellini;
  3. il valore complessivo del capitale, costante più variabile, è di 15 scellini poiché richiede 30 ore di lavoro medio, semplice, indifferenziato per la sua produzione;
  4. la giornata di lavoro che l’operaio deve dedicare all’atto della produzione è di 12 ore;
  5. nelle prime 6 ore di lavoro l’operaio recupera il valore della sua forza-lavoro. Le altre sei sono pluslavoro che il capitalista intasca come plusvalore;
  6. infine, quindi, il valore complessivo del capitale anticipato più il sovraprodotto è di 18 scellini poiché equivalente, in oro, alle 36 ore di lavoro medio, semplice, indifferenziato.

Da ciò ne consegue che il valore della forza-lavoro è in moneta uguale a 3 scellini. Sappiamo anche che la forza-lavoro è una merce e in quanto merce viene venduta dall’operaio e comprata dal capitalista ad un prezzo. Essendo merce, in media e nel lungo periodo, il prezzo della forza-lavoro coincide con il suo valore e ciò è dato da una cancellazione delle varie variazioni tra domanda e offerta. Il prezzo della merce, però, può differire dal suo valore anche a causa di una variazione del valore del denaro. Vediamo cosa succede al prezzo della forza-lavoro se cade il valore del denaro.

Consideriamo come merce di riferimento l’oro e supponiamo che si scoprano miniere di oro molto più ricche.

Sappiamo che il valore di una merce è determinato dalla quantità di tempo necessaria alla sua produzione, e ciò vale anche per l’oro che è una merce. Per l’oro, il suo valore è determinato dalla quantità di tempo necessaria alla estrazione/produzione di una determinata quantità di oro: supponiamo 1 oncia. Non parliamo solo di estrazione ma di produzione o lavorazione poiché per estrarre l’oro vengono utilizzate alcune sostanze come mercurio, acido solforico e cianuro e ciò significa che vi è una lavorazione delle rocce.

Con miniere più ricche, vi è più oro e di conseguenza una determinata quantità può essere estratta in minor tempo. Ciò avverrebbe anche con un miglioramento degli strumenti del lavoro, ma in questo caso supponiamo che siano i minatori, gli operai delle miniere, che a parità di grado di sviluppo degli strumenti del lavoro scavano ed estraggono l’oro. Essendoci quindi più oro, ci vuole meno tempo per estrarre la stessa quantità di oro. Teniamo presente che un'oncia d'oro, che corrisponde a circa 35 grammi, richiede in media la rimozione di 250 tonnellate di roccia.

In definitiva, in via del tutto ipotetica e per semplificare l’esposizione, se prima della scoperta delle miniere d’oro più ricche si estraeva 1 gr di oro diciamo in 1 ora, supponiamo che nello stesso tempo “1 ora” si estraggano 2 gr d’oro.

Supponiamo, inoltre, che prima della scoperta di nuove miniere più ricche, 1 gr di oro era equivalente a 10 pomodori, 1 kg di carne, 6 abiti, ecc. Ovvero, 1 ora è il tempo di lavoro socialmente necessario per l’estrazione/produzione di 1 gr di oro, di 10 pomodori, di 1 kg di carne, di 6 abiti. E supponiamo, inoltre, che 1 gr di oro è espresso in denaro in 3 scellini, nel senso che da questo 1 grammo di oro ricaviamo 3 monete d’oro (3 scellini). Quindi, essendo la quantità di tempo socialmente necessaria alla produzione di 10 pomodori, di 1 kg di carne, di 6 abiti uguale, anche queste quantità di queste merci avranno un valore in denaro uguale a 3 scellini o 3 monete d’oro.

Ora, dopo la scoperta di nuove miniere d’oro più ricche, abbiamo detto che nella stessa ora si estraggono 2 gr d’oro da cui possiamo ricavare il doppio delle monete d’oro, ovvero 6 monete d’oro, ma essendo quella 1 ora il tempo di lavoro necessario a produrre 10 pomodori, 1 kg di carne, 6 abiti, ecc., abbiamo che 10 pomodori, 1 kg di carne, 6 abiti, ecc., equivalgono a 2 gr d’oro, quindi a 6 monete d’oro, non più a 3 monete d’oro. Il valore dell’oro si è dimezzato; il prezzo delle merci pomodoro, carne, abiti raddoppiato.

Cosa significa tutto ciò? Primo, il valore dell’oro si è dimezzato dopo la scoperta delle miniere d’oro più ricche. Ovvero ci vuole mezz’ora per estrarre/produrre 1 gr di oro. Quindi, dopo tale scoperta, 1 gr d’oro non è più equivalente a 10 pomodori ma a 5 pomodori; così come 1 gr d’oro non è più equivalente a 1 kg di carne ma a ½ kg di carne; non più a 6 abiti ma a 3 abiti.

Ciò significa che vi è necessità di una maggiore quantità di oro, il doppio, per lo scambio con 10 pomodori, 1 kg carne e 6 abiti. Ma la necessità del doppio della quantità d’oro implica il doppio delle monete d’oro (6 monete d’oro) per acquistare ciò che prima si acquistava con 3 monete d’oro.

In termini di denaro, non sono più sufficienti 3 scellini (o 3 monete d’oro) ma ne occorrono 6 di scellini per acquistare 10 pomodori, 1 kg di carne oppure 6 abiti.

Ciò che avviene ai pomodori, alla carne, agli abiti, avviene a tutte le merci inclusa la forza-lavoro. Il valore della forza-lavoro che altro non è che il valore dei mezzi di sussistenza necessari alla vita, alla conservazione e alla riproduzione dell’operaio, è in denaro 6 scellini e non più 3 scellini. Ripetiamo: con il dimezzamento del valore dell’oro, i prezzi delle altre merci si è raddoppiato. Quindi costa il doppio all’operaio dover acquistare ciò che acquistava prima. Il valore del cestino di beni a lui necessario quotidianamente è raddoppiato. Ma il suo salario nominale rimane invariato.

L’operaio, quindi, dovrebbe richiedere al capitalista l’aumento del prezzo della propria forza-lavoro affinché corrisponda al suo aumentato valore. Se ciò non viene fatto, l’operaio si ritroverebbe in una condizione molto più impoverita. In particolare, impoverito della metà. Per ritornare al livello di sussistenza di prima, il salario dell’operaio dovrebbe salire a 6 scellini recuperati nelle prime 6 ore della giornata lavorativa. Ciò implica che considerando 12 ore come tempo della giornata lavorativa, in queste 12 ore corrisponderebbero 12 scellini e non più 6 come prima della scoperta delle miniere d’oro più ricche. Rimanendo a 3 scellini il salario dell’operaio in cui sono cristallizzate 3 ore, e non 6 come prima, il plus-lavoro aumenterebbe a 9 ore e il plusvalore a 9 scellini.

Scrive Marx che

se i salari dell'operaio rimanessero a tre scellini, invece di salire a sei, il prezzo in denaro del suo lavoro non corrisponderebbe più che alla metà del valore del suo lavoro e il suo tenore di vita peggiorerebbe in modo spaventoso. Questo avverrebbe in misura più o meno grande anche se il suo salario, pur aumentando, non aumentasse nella stessa proporzione in cui il valore dell'oro è diminuito. In questo caso non si sarebbe verificato nessun cambiamento, né delle forze produttive del lavoro, né della domanda e nell'offerta, né nei valori. Nulla sarebbe cambiato, all'infuori delle denominazioni monetarie di questi valori.

La lotta per l’aumento dei salari è un atto dovuto.

Il contrario accadrebbe nel caso si esaurissero le miniere più ricche d’oro e ci fossero disponibili solo quelle meno ricche. Tutto il nostro ragionamento può essere rivisto al contrario.

Altra questione importante è nel fatto che i prezzi delle merci, tra cui la forza-lavoro, seguono anche l’ondulazione ciclica determinata dalla produzione che passa da fasi ascendenti a fasi discendenti con picchi e valli. Abbiamo visto in passato come fasi di sovrapproduzione porti a crisi commerciali che causano la rapida riduzione della produzione di merci sino a quando queste ultime non vengono assorbite nuovamente dal mercato. Ciò implica disoccupazione, chiusura di fabbriche, distruzione di buona parte delle forze produttive e riduzione dei salari poiché elevata è l’offerta di forza-lavoro che si scontra contro una quasi inesistente domanda delle merci.

Scrive Marx che la produzione capitalistica

attraversa successivamente un periodo di calma, di crescente animazione, di prosperità, di sovrapproduzione, di crisi e di stagnazione. I prezzi di mercato delle merci e i saggi di profitto del mercato seguono queste fasi, ora cadendo al di sotto della loro media, ora superandola.

In altre parole i prezzi delle merci, incluso il prezzo della forza-lavoro, salgono e scendono seguendo l’andamento ciclico della produzione capitalistica. In media, però, e nel lungo periodo, il prezzo della merce si riaggancia sempre al suo valore.

Nella fase discendente, di sviluppo delle crisi commerciali, l’operaio tende a perdere la propria occupazione oppure a subire una diminuzione dei salari da parte del capitalista poiché diventa forte la concorrenza dal lato dell’offerta. Nella fase ascendente, invece, l’operaio deve fare in modo di ottenere un aumento del prezzo della propria forza-lavoro che tenga conto della necessità di un riallineamento con il suo valore. La media lungo tutto il ciclo produttivo attraverso le sue fasi determina un ricongiungimento del prezzo della merce forza-lavoro con il suo valore.

Scrive Marx che

durante la fase della discesa dei prezzi di mercato e durante le fasi della crisi e della stagnazione, l'operaio, quando non perde del tutto la sua occupazione, deve contare sicuramente su una diminuzione dei salari. Per non essere defraudato, egli deve persino, quando i prezzi di mercato scendono a tal punto, contrattare con il capitalista per determinare in quale proporzione una diminuzione dei salari è divenuta necessaria. Se durante le fasi della prosperità, allorché si realizzano extraprofitti, egli non ha lottato per un aumento dei salari, non riuscirà certamente, nella media di un ciclo industriale, a mantenere neppure il suo salario medio, cioè il valore del suo lavoro. Sarebbe il colmo della pazzia pretendere che l'operaio, il cui salario nella fase discendente del ciclo è necessariamente trascinato nella corrente generale sfavorevole, si debba escludere da un compenso corrispondente durante la fase del buon andamento degli affari. In generale i valori di tutte le merci si realizzano solo attraverso la compensazione dei prezzi di mercato, che variano incessantemente, grazie alle continue oscillazioni della domanda e dell'offerta. Sulla base del sistema attuale, il lavoro non è che una merce come le altre.

L’operaio, quindi, deve sempre rivendicare come prezzo della merce che possiede il corrispondente in denaro del valore della stessa merce: la forza-lavoro. E cercare di resistere nelle fasi, anche prolungate, di riduzione del prezzo della forza-lavoro rispetto al suo valore.

La domanda, quindi, rimane: come si determina il valore della forza-lavoro? O meglio, quali sono quei beni materiali di cui l’operaio ha necessità per la vita e la riproduzione?

Abbiamo studiato sino ad oggi i vari aspetti che regolano il valore delle merci, il prezzo delle merci e nel caso specifico della forza-lavoro, la quale è una merce che segue le stesse regole di tutte le altre merci, la differenza tra il suo valore e il suo prezzo.

Sintetizza Marx che

la resistenza periodica opposta dagli operai contro la diminuzione dei salari e gli sforzi che essi fanno di tempo in tempo per avere degli aumenti di salario sono inseparabili dal sistema del salario e dettati dal fatto stesso che il lavoro è parificato alle merci, e che perciò è soggetto alle leggi che regolano il movimento generale dei prezzi.

Abbiamo altresì studiato come, fissata la quantità di ore lavorate in un determinato periodo di tempo, l’aumento dei salari determini la caduta del saggio del plusvalore e, a parità di capitale costante, del saggio del profitto. E viceversa, la diminuzione dei salari causi l’aumento di entrambi i saggi. È quindi evidente come sia assoluto interesse del capitalista diminuire i salari per massimizzare il profitto, e così facendo determinare la massimizzazione del grado di sfruttamento dell’operaio. Naturalmente, come anche visto nelle precedenti lezioni, il capitalista ha l’arma dell’aumento della giornata lavorativa che gli consente di aumentare il saggio del plusvalore e del profitto. Viceversa, una riduzione della quantità di ore lavorate che compongono per esempio la giornata lavorativa, a parità di salario, crea una caduta del saggio del plusvalore e, a parità di capitale costante, del saggio del profitto.

Scrive difatti Marx che

un rialzo generale dei salari provocherebbe una caduta del saggio generale del profitto, senza esercitare alcuna influenza sui prezzi medi delle merci o sui loro valori, sorge ora infine la questione di sapere fino a qual punto, in questa lotta incessante tra capitale e lavoro, quest'ultimo ha delle prospettive di successo.

Noi sappiamo bene che il prezzo di mercato di una merce è in media e nel lungo periodo corrispondente al suo valore, una volta cioè che le oscillazioni di domanda e offerta vengono annullate. E ciò vale anche per la forza-lavoro. In altre parole, anche il prezzo di mercato della forza-lavoro è in media e nel lungo periodo uguale al suo valore, il quale è determinato dalla quantità di tempo necessario alla produzione dei beni di sussistenza di cui l’operaio ha bisogno quotidianamente (se il salario nominale è per giornata di lavoro) per la vita, la conservazione e la riproduzione della classe operaia. Anche se come qualsiasi merce, la forza-lavoro è soggetta a fluttuazioni tra domanda e offerta dovuti a diversi fattori, ad iniziare dalla concorrenza dal lato dell’offerta oppure della domanda, in media e nel lungo periodo tali fluttuazioni si annullano ricongiungendo il prezzo di mercato al valore della forza-lavoro stessa. Ciò però in termini generali. Nella realtà, il valore della forza-lavoro ha dei vincoli che ora vedremo.    

Scrive difatti Marx quanto segue:

potrei rispondere con una generalizzazione, e dire che il prezzo di mercato del lavoro, come quello di tutte le altre merci, si adatterà a lungo andare al suo valore; che perciò, malgrado tutti gli alti e bassi, e malgrado tutto ciò che l'operaio possa fare, in ultima analisi egli non riceverà in media che il valore del suo lavoro, il quale si risolve nel valore della sua forza-lavoro, determinato a sua volta dal valore degli oggetti d'uso necessari per la sua conservazione e la sua riproduzione, valore che, infine, è regolato dalla quantità di lavoro necessaria per la loro produzione.

Ma vi sono alcune circostanze particolari”, continua Marx, “che differenziano il valore della forza-lavoro dai valori di tutte le altre merci. Il valore della forza-lavoro è costituito da due elementi, di cui l'uno è unicamente fisico, l'altro storico o sociale.”

Iniziamo a esaminare il vincolo fisico, che è duplice: durata della giornata lavorativa e rapporto tra prezzo e valore della forza-lavoro. Il limite fisico è dato dal fatto che l’operaio non può lavorare per un tempo infinito conservando la propria forza-lavoro per il periodo di lavoro successivo. Abbiamo visto la scorsa volta, che è interesse dell’operaio conservare il più possibile la propria forza-lavoro, così come è interesse del capitalista spremere senza distruggere la forza-lavoro dell’operaio. Quindi, ne consegue, che esiste un limite oltre il quale tale forza-lavoro viene de facto distrutta. Questo limite è legato alla durata della giornata di lavoro.

Scrive Marx che

la durata della giornata di lavoro ha il suo limite estremo, quantunque assai elastico. Questo limite estremo è dato dalla forza fisica dell'operaio. Se l'esaurimento giornaliero della sua forza vitale supera un certo limite, questa non può rimettersi ogni giorno in attività.

Vi è però anche il limite dettato dal salario nominale che il capitalista dà all’operaio giornalmente e che serve all’operaio per lo scambio con i beni di sussistenza necessari alla vita. Il prezzo della forza-lavoro non può essere per tempi lunghi e troppo al di sotto del suo valore, altrimenti l’operaio non riesce a rigenerarsi quotidianamente per l’atto della produzione.

Su questo, scrive Marx che il

limite minimo è determinato dall'elemento fisico, il che vuol dire che la classe operaia, per conservarsi e per rinnovarsi, per perpetuare la propria esistenza fisica, deve ricevere gli oggetti d'uso assolutamente necessari per la sua vita e per la sua riproduzione. Il valore di questi oggetti d'uso assolutamente necessari costituisce quindi il limite minimo del valore del lavoro

Vediamo ora il secondo vincolo il quale è di natura storica o sociale. Per affrontare questo aspetto dobbiamo riprendere i concetti di bisogni assoluti e bisogni relativi studiati tempo addietro, ad iniziare dalla Fase I della nostra Scuola Rossa. I bisogni assoluti sono quei bisogni vitali, assolutamente necessari per la vita, la conservazione e la riproduzione, e sono i bisogni che ognuno deve soddisfare. I bisogni relativi sono bisogni sociali che emergono dalla società stessa, dalla sua evoluzione e dall’incremento della ricchezza sociale. L’operaio tende a non soddisfare tali bisogni, o ne soddisfa in minima parte, anche se è proprio lui con il suo lavoro e il consumo della propria forza-lavoro a creare tutti i valori, quindi la ricchezza sociale, e di conseguenza i bisogni che da altri (non operai) vengono soddisfatti completamente.

Su questo Marx scrive che

oltre che da questo elemento puramente fisico, il valore del lavoro è determinato dal tenore di vita tradizionale in ogni paese. Esso non consiste soltanto nella vita fisica, ma nel soddisfacimento di determinati bisogni, che nascono dalle condizioni sociali in cui gli uomini vivono e sono stati educati. Questo elemento storico o sociale, che entra nel valore della forza-lavoro, può aumentare o diminuire, e anche annullarsi, in modo che non rimanga che il limite fisico.

Essendo bisogni che emergono dalla ricchezza sociale, essi sono diversi da paese a paese, e diversi in epoche storiche differenti. Diversi saranno i gradi di soddisfazione di tali bisogni e di conseguenza i mezzi monetari per soddisfarli.   

Scrive Marx che

se confrontate tra loro i salari normali o i valori del lavoro in diversi Paesi e in diverse epoche storiche dello stesso Paese, troverete che il valore del lavoro non è una grandezza fissa, ma una grandezza variabile, anche se si suppone che i valori di tutte le altre merci rimangano costanti. Lo stesso confronto per quanto riguarda i saggi di mercato del profitto, dimostrerebbe che non solo essi cambiano, ma che cambiano anche i loro saggi medi.

Tornando un attimo al salario, abbiamo visto come ci sia un limite minimo. Ciò implica che vi è quindi un limite massimo al profitto a parità di durata di giornata di lavoro. In particolare, la massimizzazione del profitto si ha quando si raggiunge il limite minimo dal lato dei salari e il limite massimo dal lato della durata della giornata di lavoro.

Scrive Marx che

il massimo del profitto è dunque limitato solamente dal minimo fisico dei salari e dal massimo fisico della giornata di lavoro.

E ciò causa una infinità di variazioni possibili del saggio del plusvalore e del saggio del profitto.  

Il capitalista cerca costantemente di ridurre i salari al loro limite fisico minimo e di estendere la giornata di lavoro al suo limite fisico massimo, mentre l'operaio esercita costantemente una pressione in senso opposto

conclude Marx.

Arriviamo ora al nocciolo della questione che deve interessare operaie e operai, e più in generale i lavoratori salariati poveri. Ovvero, l’abolizione del salariato.

Abbiamo precedentemente visto come la forza-lavoro in quanto merce debba tenere conto del limite fisico e del limite sociale, e come il limite fisico sia duplice: da una parte bisogna tenere conto della durata della giornata lavorativa e dall’altra bisogna tenere conto del rapporto tra prezzo e valore della forza-lavoro.

È un fatto che il sistema del salariato sia naturalmente in funzione degli interessi del capitalista, sia favorevole al capitalista e mai all’operaio, e che l’operaio deve sempre e comunque attivarsi per un’azione politica congiunta e generale della classe contro gli interessi dei capitalisti. Mentre il capitalista ha dalla sua parte la categoria della politica, della comunicazione, dell’informazione, e tante altre leve che possono indirizzare, da una parte, la retorica politica e comandare la politica a precisi atti legislativi, la classe operaia ha dalla sua parte solo se stessa e la propria coscienza di classe che tramite la lotta politica forza la mano e costringe la politica ad azioni legislative in favore delle operaie e degli operai. Solo la lotta di classe può questo, non certo la magnanimità e l’empatia della politica che come ben sappiamo è al servizio della classe dominante in quanto sovrastruttura.

Scrive difatti Marx che

senza la pressione costante degli operai dall'esterno, l’intervento [legislativo] non si sarebbe mai verificato”, e che “proprio questa necessità di un’azione politica generale che ci fornisce la prova che nella lotta puramente economica il capitale è il più forte.

Quindi, l’operaio è naturalmente più debole rispetto al capitalista nella società capitalistica; è superfluo ricordare che proprio l’opposto avviene nel socialismo, dove naturalmente non parleremmo più di capitalisti ma di ex capitalisti. Nel socialismo come abbiamo ben studiato nella Fase I, l’operaio è al comando dello Stato e, quindi, della politica poiché la classe operaia è classe dominante.

Anche l’accumulazione del capitale è un maleficio per l’operaio. L’accumulazione del capitale è causa di una modificazione del capitale tra capitale costante e capitale variabile, poiché accresce la quota parte del capitale costante in modo notevole. L’accrescimento della quota parte del capitale formata dalla parte costante cresce più velocemente della parte variabile e ciò implica un impoverimento radicale della classe operaia che è legata e dipende dai salari.

Scrive Marx che

parallelamente all'accumulazione progressiva del capitale ha luogo una modificazione crescente nella composizione del capitale. Quella parte del capitale che è formata da capitale fisso, macchine, materie prime, mezzi di produzione d'ogni genere, aumenta più rapidamente di quell'altra parte del capitale che viene investita in salari, cioè per comperare forza-lavoro.

In definitiva, il salario relativo diminuisce. Su questo punto vi invito a rivedervi la lezione della Fase I sul testo di Marx “Lavoro salariato e capitale”, lezione 31 che trovate sul nostro canale YouTube. Lì trovate tutti i dettagli necessari a comprendere questo concetto, ma in soldoni, basterà dire che è proprio l’evoluzione e lo sviluppo del capitalismo che consente l’accumulazione del capitale e l’accrescimento della distanza sociale tra la classe operaia e la classe capitalistica. La tendenza della produzione capitalista è proprio quella di favorire il capitalista, e sicuramente non favorire l’operaio a meno che non ci sia di mezzo la vita stessa dell’operaio che come una macchina deve essere in grado di continuare a lavorare giorno dopo giorno. 

Scrive Marx che

lo sviluppo dell'industria moderna deve far pendere la bilancia sempre più a favore del capitalista, contro l'operaio, e che per conseguenza la tendenza generale della produzione capitalistica non è all'aumento del livello medio dei salari, ma alla diminuzione di esso, cioè a spingere il valore della forza-lavoro, su per giù, al suo limite più basso.

Continua Marx:

se tale è in questo sistema la tendenza delle cose, significa forse ciò che la classe operaia deve rinunciare alla sua resistenza contro gli attacchi del capitale e deve abbandonare i suoi sforzi per strappare dalle occasioni che le si presentano tutto ciò che può servire a migliorare temporaneamente la sua situazione?

Naturalmente no. Ma ciò non è l’obiettivo della classe. La lotta economica è un obiettivo di breve termine, un obiettivo di natura tattica; l’obiettivo vero, strategico della classe operaia rimane l’abolizione del sistema del salariato.

La classe operaia lotta tatticamente contro gli effetti dello sviluppo del capitale ma deve lottare ancora con più forza strategicamente contro le cause di questi effetti. Se così non fosse, se la classe operaia si focalizzasse come avviene timidamente oggi sulla lotta economica, nelle parole di Marx, essa potrebbe

soltanto frenare il movimento discendente, ma non mutarne la direzione; che essa applica soltanto dei palliativi, ma non cura la malattia. Perciò essa [la classe operaia] non deve lasciarsi assorbire esclusivamente da questa inevitabile guerriglia, che scaturisce incessantemente dagli attacchi continui del capitale o dai mutamenti del mercato.

“Essa” [la classe operaia], continua Marx, “deve comprendere che il sistema attuale, con tutte le miserie che accumula sulla classe operaia, genera nello stesso tempo le condizioni materiali e le forme sociali necessarie per una ricostruzione economica della società. Invece della parola d'ordine conservatrice: "Un equo salario per un'equa giornata di lavoro", gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario: Soppressione del sistema del lavoro salariato.”

 

 

Ultima modifica ilSabato, 16 Novembre 2024 09:40
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