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Per il capitale, l’operaio non ha necessità di soddisfare bisogni sociali
di Manuel Santoro
"Il bisogno del denaro è il vero bisogno prodotto dall'economia politica, il solo bisogno che essa produce" (Marx)
Durante il percorso della Scuola Rossa abbiamo introdotto il concetto di bisogno, differenziando in particolare tra bisogno assoluto e bisogno relativo. La nostra esposizione ha toccato naturalmente i bisogni nel contesto dei rapporti sociali di produzione borghesi, ma è quasi immediato lo sviluppo di tale esposizione nella società socialista la quale si basa sulla proprietà comune dei mezzi di produzione. Cambiando i rapporti di proprietà e, di conseguenza, i rapporti di produzione; cambiando la modalità della produzione e, nella produzione, dello scambio degli oggetti della produzione, si cambia la società nella sua interezza. Quindi anche a livello sovrastrutturale: la politica, la giustizia, la coscienza, il pensiero, l’idea, il comportamento. Dalla proprietà privata alla proprietà comune dei mezzi di produzione; dalla sovrastruttura borghese alla sovrastruttura socialista.
Però sino a quando rimarremo dentro rapporti sociali di produzione borghesi, l’oggettivazione-alienazione sarà presente; abbiamo l’opposto del “nuovo arricchimento dell’essere umano”, come invece avremo nel socialismo. Scrive Marx che “ogni uomo s'ingegna di procurare all'altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo ad un nuovo sacrificio, per ridurlo a una nuova dipendenza e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica…L'uomo diventa tanto più povero come uomo, ha tanto più bisogno del denaro, per impadronirsi dell'essere ostile, e la potenza del suo denaro sta giusto in proporzione inversa alla massa della produzione.” [1]
L’operaio più produce valori, più è povero poiché più necessita di denaro che non ha per comprare ciò che egli stesso, in quanto classe, produce in quantità maggiore, ma che gli è esterna e ostile. I bisogni relativi, i bisogni sociali, sono per lui stesso sempre più insoddisfatti quando a mala pena riesce a soddisfare i bisogni assoluti. La distanza sociale tra le due grandi classi, la classe operaia e la classe dei capitalisti, si allarga sempre più. Scrive Marx che “il bisogno del denaro è il vero bisogno prodotto dall'economia politica, il solo bisogno che essa produce. La quantità del denaro diventa sempre più il suo unico attributo di potenza.”
Dal punto di vista oggettivo, abbiamo la creazione da parte dell’operaio per mezzo dell’atto della produzione, del lavoro, di una quantità maggiore di valori prodotti ma sempre più inaccessibili per l’operaio poiché più grande è la massa della produzione, più povero è l’operaio ovvero meno denaro possiede per impadronirsi dell’oggetto da lui prodotto. Dal punto di vista soggettivo, la produzione estesa, aumentata, sviluppando i bisogni, fa dell’operaio il soggetto che soddisfa bisogni assoluti per sopravvivere e riprodursi in quanto classe ma a lui sono negati i bisogni relativi, sociali. L’operaio si riduce appunto alla mera sopravvivenza e riproduzione. Scrive Marx che “l'irlandese conosce soltanto più il bisogno di mangiare, o meglio soltanto più il bisogno di mangiar patate, o meglio ancora soltanto più il bisogno di mangiare le patate della qualità più scadente. Ma l'Inghilterra e la Francia possiedono già in ogni città industriale la loro piccola Irlanda.”
Ricchezza e povertà sono essenzialmente l’identica cosa. L'economia politica è sia scienza della ricchezza, scrive Marx, che scienza del risparmio. Scienza “della mirabile industria è parimenti la scienza dell'ascesi, e il suo vero ideale è l'avaro ascetico ma usuraio, e lo schiavo ascetico ma produttivo.”
La classe sociale dei capitalisti, ovvero di coloro che hanno la proprietà “privata” dei mezzi di produzione, opprime la classe operaia materialmente, realmente e consciamente poiché reputa la vita dell’operaio sfruttato, povero ed estraniato come vita legittima, umana. Il capitalista è assolutamente convinto che l’uomo-operaio, produttore unico di valori e, quindi, di ricchezza, non abbia necessità né di godere dei bisogni relativi, sociali, né di godere in minuscola parte dei bisogni che i capitalisti stessi godono. L’operaio è equivalente ad una macchina da lavoro, la sua forza-lavoro è una merce e l’unica necessità sociale che possiede per i capitalisti è l’attitudine puntuale, costante all’atto del lavoro, all’atto della produzione. La classe dei capitalisti fa dell’operaio “un essere insensibile e senza bisogni; ogni lusso dell'operaio gli appare quindi riprovevole, ed ogni godimento passivo o manifestazione d'attività gli appare come un lusso.”
Scrive Marx che questa “economia politica, questa scienza della ricchezza, è quindi nello stesso tempo la scienza della rinuncia, della privazione, del risparmio, e giunge realmente sino al punto di risparmiare all'uomo persino il bisogno dell'aria pura o del moto fisico.”
L’economia politica criticata da Marx è l’economia politica espressione del capitale e della classe sociale dei capitalisti, e “il suo ideale morale”, riporta Marx, “è l'operaio che porta alla cassa di risparmio una parte del suo salario; la rinuncia a se stessi, la rinuncia alla vita e a tutti i bisogni umani, è il suo dogma principale. Quanto meno mangi, bevi, compri libri, vai a teatro, al ballo e all'osteria, quanto meno pensi, ami, fai teorie, canti, dipingi, verseggi, ecc., tanto più risparmi, tanto più grande diventa il tuo tesoro, che né i tarli né la polvere possono consumare, il tuo capitale.”
Di conseguenza, “quanto meno tu sei, quanto meno realizzi la tua vita, tanto più hai; quanto più grande è la tua vita alienata, tanto più accumuli del tuo essere estraniato.” Ciò per l’operaio che produce tutti valori di scambio che non gli appartengono, e che quindi non sono per lui denaro. Ma per chi ha il denaro, per chi ha il possesso, la proprietà di ciò che viene prodotto poiché proprietario dei mezzi di produzione, è in grado di usarlo per “mangiare, bere, andare a teatro e al ballo, se la intende con l'arte, con la cultura, con le curiosità storiche, col potere politico, può viaggiare; può insomma impadronirsi”, al posto dell’operaio, al posto del produttore di valori, “di tutto quanto; può tutto quanto comperare: esso è il vero e proprio potere.”
Per eliminare la proprietà privata dei mezzi di produzione è necessario, quindi, il comunismo. Come scrive Marx, “per sopprimere l’idea della proprietà privata, basta completamente il comunismo ideale. Ma per sopprimere la proprietà privata reale, occorre un'azione comunistica reale. Questa azione sarà il prodotto della storia.”
Abbiamo quindi detto che l’operaio, il produttore che produce tutti i valori soddisfa bisogni assoluti e tocca appena con un dito quelli relativi, quelli sociali. All’interno delle tre classi sociali discusse nel corso del nostro studio dei manoscritti filosofici-economici del 1844, la soddisfazione dei bisogni creati avviene naturalmente in modo molto diverso.
La classe dei proprietari fondiari gode dei valori, della ricchezza in modo parassitario. Il proprietario della terra usufruisce della ricchezza come “un individuo meramente effimero”, usando le parole di Marx, “considera il lavoro servile degli altri, l'umano sudore di sangue come preda delle sue cupidigie e in ciò considera l'uomo stesso, e quindi anche se stesso, come un essere insignificante, nel quale atteggiamento il disprezzo degli uomini si presenta come superbia.”
A ciò si contrappone il capitalista industriale il quale considera il suo godimento come qualcosa di accessorio, e dice Marx, “una specie di svago, subordinato alla produzione: si tratta di un godimento calcolato e per ciò stesso economico, dal momento che egli computa il suo godimento nelle spese del capitale, e quindi egli può spendere per il suo godimento sino al limite in cui ciò che è stato speso per esso venga poi rimpiazzato dalla riproduzione del capitale con un profitto.”
Abbiamo visto nelle lezioni precedenti come il proprietario fondiario sia costretto dallo sviluppo del capitale a diventare un consumatore del proprio capitale e, come riporta Marx, “andare in rovina”, oppure diventare egli stesso un capitalista agricolo.
L’evoluzione della rendita fondiaria e del destino dei proprietari fondiari è ripresa da Marx nel seguente modo: “D'altra parte, è vero che la rendita fondiaria cresce immediatamente e in modo costante lungo il corso del movimento industriale, ma, come abbiamo già visto, giunge necessariamente un momento in cui la proprietà fondiaria, come ogni altra proprietà, deve andare a finire nella categoria del capitale che si riproduce con profitto, e certamente questo è il risultato dello stesso movimento industriale. Così, anche il proprietario fondiario sperperatore deve, o consumare il proprio capitale e quindi andare in rovina, oppure diventare l'affittuario del suo proprio fondo, cioè un industriale agricolo.”
Dal punto di vista dell’economia politica, lo scontro tra gli economisti che ponevano sul piedistallo il lusso rigettando il risparmio, e viceversa, non è altro che lo scontro tra l’economia politica del capitale non ancora emancipato, nei confronti del capitale emancipato. Nel passaggio al capitale emancipato, scrive Marx, “la rendita fondiaria fu inoltre abbattuta in quanto rendita fondiaria allorché l'economia politica moderna, in opposizione alla tesi dei fisiocrati secondo cui l'unico vero produttore è il proprietario fondiario, riuscì piuttosto a dimostrare che il proprietario fondiario come tale è l'unico «rentier» del tutto improduttivo, e che l'agricoltura è un affare proprio del capitalista che dà al suo capitale questo impiego, quando da questo impiego possa attendersi il profitto ordinario.”
Dal lato del salario, invece, è chiaro come sia proprio qui la necessaria alleanza tra il salariato produttivo industriale e il salariato produttivo agricolo, nel passaggio rivoluzionario da rapporti di proprietà capitalistici a rapporti di proprietà socialisti. Ovvero l’alleanza tra operai e braccianti, essendo però i primi egemonici nei confronti dei secondi, come presupposto necessario per la rivoluzione socialista.
L’evoluzione della proprietà fondiaria, da centrale a marginale sino alla sostituzione storica con il capitalismo agricolo, comporta di conseguenza uno speculare sviluppo nel campo della predominanza politica, sovrastrutturale.
Per ciò che concerne la divisione del lavoro, invece, diciamo solamente che essa consente l’aumento della forza produttiva del lavoro. Produrre di più a parità di lavoro accumulato. Alienare di più a parità di lavoro accumulato.
Scrive Marx che “la divisione del lavoro è l'espressione, propria della economia politica, della socialità del lavoro entro i limiti dell'estraniazione”, e ancora che la divisione del lavoro e lo scambio “costituiscono le espressioni visibilmente alienate dell'attività e della forza essenziale dell'uomo come attività e forza essenziale proprie del genere umano…Proprio nel fatto che la divisione del lavoro e lo scambio appartengono alla struttura della proprietà privata, proprio qui risiede la duplice prova tanto del fatto che la vita umana ha avuto bisogno per realizzarsi della proprietà privata, quanto dell'altro fatto che ora essa ha bisogno della soppressione della proprietà privata.” Del comunismo, quindi!
Note
[1] In corsivo nel testo, dai Manoscritti economico-filosofici del 1844