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Ancora una volta sulla piccola borghesia
di Clara Treves
La piccola borghesia è un gruppo sociale nella società borghese, che dovrà scomparire con lo sviluppo del capitalismo. Una classe sociale come la piccola borghesia non dovrebbe esistere in una società puramente capitalista, dove ci sarebbe posto solo per i lavoratori e i capitalisti.
Il piccolo borghese è nel mezzo tra la classe dell’operaio e quella del capitalista. La piccola borghesia non è il proletariato; alcuni dei suoi rappresentanti creano beni materiali, altri operano nella sfera della produzione immateriale (creano i servizi, idee / immagini), e sebbene non producano i beni materiali, si comportano allo stesso modo: a loro non importa quello che fanno ma cosa possono avere.
Il grande capitale attraverso i prezzi d’acquisto sfrutta la piccola borghesia, soprattutto gli agricoltori e i commercianti. Lavorando per il mercato loro non possono guadagnare tanto valore per i beni che creano. Perciò la piccola borghesia odia il capitalismo e soprattutto il capitalismo monopolistico, l'imperialismo. Il capitalismo monopolistico è particolarmente terribile per la piccola borghesia perché mina il mercato a cui la piccola borghesia stessa ripone le sue speranze di arricchimento.
Il capitalismo soffoca la piccola borghesia. La spinge verso la classe operaia.
Prima consideriamo come i classici del marxismo caratterizzano la piccola borghesia, e poi passiamo alla sua descrizione artistica, che è stata fatta da Jack London nel suo romanzo “Il Tallone di Ferro”.
«In realtà, il piccolo produttore di cui i romantici e i populisti fanno l’apoteosi èun piccolo borghese che si trova in rapporti contraddittori come ognialtro membro della società capitalistica, che si difende mediante lastessa lotta, la quale esprime costantemente, da una parte, un’esiguaminoranza di grande borghesia e sospinge, dall’altra, lamaggioranza nelle file del proletariato. In realtà, come ognunovede e sa, non esistono piccoli produttori che non stiano fra questedue classi opposte, e questa posizione intermedia condizionanecessariamente il carattere specifico della piccola borghesia, determinale sue oscillazioni, la sua ambiguità, la sua doppiezza, il suogravitare verso la minoranza che esce vittoriosa dalla lotta, lasua ostilità verso gli «sconfitti», cioè verso la maggioranza. Quantopiù l’economia mercantile si sviluppa, tanto più vigorosi e nettidiventano questi caratteri, tanto più palese diviene il fatto chel’idealizzazione della piccola produzione esprime soltanto unpunto di vista reazionario, piccolo-borghese.» [1]
«Non ci si deve rappresentare le cose in modo ristretto, come se la piccola borghesia intendesse difendere per principio un interesse di classe egoistico. Essa crede, al contrario, che le condizioni particolari della sua liberazione siano le sole condizioni generali, entro le quali soltanto la società moderna può essere salvata e la lotta di classe evitata.» [2]
«La piccola borghesia ha per sua natura due facce: da una parte gravita attorno al proletariato e alla democrazia, dall’altra gravita attorno alle classi reazionarie, cerca di fermare il corso della storia, è capace di prestarsi agli esperimenti e di cedere alle profferte dell’assolutismo (sotto la forma, magari, della « politica popolare » di Alessandro III), è capace di concludere un’alleanza con le classi dirigenti contro il proletariato pur di consolidare la propria situazione di classe piccolo-proprietaria.» [3]
Passiamo ai classici letterari. Gli estratti sono stati fatti dai capitoli 8 e 9 nei quali il protagonista del romanzo “Il Tallone di Ferro”, il socialista Ernest Everhard, parla con i piccoli borghesi e i piccoli capitalisti.
Così i piccoli borghesi si esprimono quando le cose vanno male:
«Erano persone abbastanza interessanti, dall'aria intelligente e con un linguaggio semplice e chiaro. Si lamentavano, all'unanimità, dei consorzi e la loro parola d'ordine era: "Aboliamo i trust!". Secondo loro erano all'origine di tutte le oppressioni; e tutti, senza eccezione, ripetevano la stessa lagnanza. Sostenevano la nazionalizzazione delle grandi imprese, come le ferrovie e le poste, nonché l'inasprimento fiscale contro i grossi profitti per distruggere le grandi concentrazioni di capitali. Lodavano anche, come un possibile rimedio alle miserie locali, la municipalizzazione delle imprese di pubblica utilità, come l'acqua, il gas, i telefoni e i trasporti pubblici.»
[...]
«"La compagnia delle ferrovie è al corrente dei miei affari meglio di me", spiegò. [...] Perché, badate, appena ho firmato un grosso contratto vantaggioso che mi assicura un buon guadagno, i prezzi di trasporto aumentano come per incanto. Non mi si danno spiegazioni, ma le ferrovie si prendono il mio guadagno.»
Quando le cose vanno bene, i piccoli proprietari sono ben contenti della concorrenza:
«Cominciò dal signor Owen.
"Sei mesi fa avete aperto una succursale, qui a Berkeley?".
"Sì", rispose il signor Owen.
"Da allora, infatti, ho notato che tre piccole drogherie hanno dovuto chiudere. La vostra succursale ne è la causa?".
"Non avevano nessuna probabilità contro di noi", rispose il signor Owen, con soddisfazione.
"Perché no?".
"Avevamo un capitale più forte. Nel commercio all'ingrosso la perdita è sempre minima e il guadagno maggiore".
"Cosicché il vostro negozio assorbiva i guadagni delle tre piccole botteghe. Capisco. Ma mi dica: che ne è dei proprietari delle tre piccole deogherie?".
"Uno conduce il nostro furgone per le consegne. Non so cosa facciano gli altri".
Ernest si voltò improvvisamente verso il signor Kowalt.
"Lei vende spesso a prezzo di costo, a volte perfino sottocosto. Che ne è dei proprietari delle piccole farmacie che ha messo con le spalle al muro?".
"Uno di essi, il signor Haasfurther, è attualmente capo del nostro servizio ordinazioni".
"E lei ha assorbito i guadagni realizzati prima da loro?".
"Certamente: per questo siamo negli affari".
"E lei", disse Ernest rivolgendosi bruscamente al signor Asmunsen.
"Lei è disgustato perché le ferrovie le sottraggono i suoi guadagni, vero?".
Il signor Asmunsen annuì.
"Lei invece vorrebbe tenersi per sé i suoi profitti, vero?".
Il signor Asmunsen annuì di nuovo.
"A spese degli altri?" Nessuna risposta. Ernest insistette:
"A spese degli altri?".
"È così che si guadagna" replicò seccamente il signor Asmunsen.
"Dunque, il gioco degli affari consiste nel guadagnare a scapito degli altri, e nell'impedire agli altri di guadagnare a spese nostre. È così, vero?".
Dovette ripetere la domanda e il signor Asmunsen alla fine rispose:
"Sì, è così. Però noi non ci opponiamo a che gli altri facciano i loro guadagni, purché non siano esorbitanti".
"Per esorbitanti intende, senza dubbio, grossi guadagni. Però non vede nessun inconveniente nel fare grossi guadagni per suo conto... vero?".
Il signor Asmunsen confessò la propria debolezza in materia.
[...]
"Poveri di spirito!" mi bisbigliò Ernest. "Ciò che vedono, lo vedono bene; solamente, non vedono più in là del loro naso". [...]
"Vi ho ascoltati con attenzione", cominciò, "e vedo perfettamente che seguite il gioco degli affari in maniera ortodossa. Per voi, la vita si riassume nel guadagno. Avete la convinzione ferma e tenace di essere stati creati e messi al mondo con l'unico scopo di accumulare denaro. Soltanto, c'è un ostacolo: sul più bello della vostra proficua attività, ecco che il trust vi taglia i guadagni.
Eccovi in un dilemma apparentemente contrario agli scopi della creazione; e voi non vedete altro mezzo di salvezza che l'annientamento di questo disastroso intervento.
Ho seguito attentamente le vostre parole, e c'è un solo modo per definirvi: siete dei distruttori della macchina. Sapete che vuol dire? Ve lo spiego subito.
Nel diciottesimo secolo, in Inghilterra, uomini e donne tessevano il panno su telai a mano, a casa loro. Era un procedimento lento e costoso, quel sistema di manifattura a domicilio. Poi venne la macchina a vapore, con tutti i congegni per guadagnare tempo. Un migliaio di telai riuniti in una grande officina e messi in moto da una macchina centrale, tessevano il panno a molto minor prezzo dei tessitori che possedevano telai a mano. Nella filanda si affermava l'associazione, davanti alla quale si cancella la concorrenza. Gli uomini e le donne che avevano lavorato da soli, con telai a mano, andavano ora nelle fabbriche e lavoravano ai telai a vapore, non più per se stessi ma per i proprietari, i capitalisti. Ben presto anche i bambini si misero ai telai meccanici, in cambio di salari ridotti, e sostituirono gli uomini. I tempi si fecero duri. Il livello di benessere si abbassò rapidamente. Morivano di fame, e dicevano che tutto il male veniva dalle macchine. Allora, vollero rompere le macchine. Non vi riuscirono; erano dei poveri illusi.
Voi non avete ancora capito questa lezione; ed ecco, dopo un secolo e mezzo, volete anche voi distruggere le macchine. Avete ammesso voi stessi che le macchine del trust compiono un lavoro più efficace e a minor prezzo del vostro, per questo non potete combatterle, e tuttavia vorreste distruggerle. Siete ancora più illusi degli sprovveduti operai inglesi. E mentre voi ripetete che bisogna ristabilire la concorrenza, i trust continuano a distruggervi.
Dal primo all'ultimo, raccontate la stessa storia, la scomparsa della rivalità e l'avvento dell'associazione. Lei stesso, signor Owen, ha distrutto la concorrenza, qui a Berkeley, quando la vostra succursale ha fatto chiudere bottega a tre piccoli droghieri, perché la vostra associazione era più efficiente. Ma appena sentite sulle vostre spalle il peso di altre associazioni più forti, quelle dei trust, vi mettete a urlare.
[...]
Ciò prova, signore, che lei è un cattivo giocatore. Quando ha strozzato i tre piccoli droghieri, si è sentito orgoglioso, ha vantato l'efficacia e lo spirito dell'impresa, ha mandato sua moglie in Europa, con i guadagni fatti divorando quei poveri negozietti. È la legge del pesce più grosso, e lei ha mangiato in un sol boccone i suoi rivali.
Ma ecco che a sua volta è morsicato da pesci più grossi ancora, e urla come una cornacchia. E quanto dico di lei, vale per tutti i presenti. Urlate pure. State giocando una partita e la perdete. [...]
Desiderate l'occasione per spogliare i vostri simili uno per volta e vi suggestionate al punto di credere che volete la libertà. Siete ingordi e insaziabili, ma persuasi dalla magia delle vostre frasi di fare, invece, opera di patriottismo. Trasformate il desiderio di guadagno, che è puro e semplice egoismo, in sollecitudine altruistica per l'umanità sofferente. [...]
È vero che noi piccoli capitalisti diamo la caccia al guadagno, e che il trust ce lo toglie. È vero che vogliamo distruggere i trust per poter conservare i nostri profitti. E perché non dovremmo farlo? Mi dica perché non dovremmo farlo".
"Ah, eccoci al nocciolo della questione", disse Ernest, con aria soddisfatta.
"Perché no? Cercherò di dirvelo, per quanto non sia facile. Voialtri, vedete, avete studiato gli affari nella vostra cerchia ristretta, ma non avete affatto approfondito la questione dell'evoluzione sociale. Siete in pieno periodo di transizione nell'evoluzione economica, ma non ci capite nulla, e da questo deriva tutto il caos. Mi domandate perché non potete ritornare indietro. Per il semplice motivo che non è possibile.
Non potete far risalire un fiume verso la sorgente. [...]
Davanti alle macchine per risparmiare lavoro, alla produzione organizzata, all'efficacia crescente delle società, vorreste fermare il sole dell'economia di una o più generazioni, farlo ritornare a un'epoca in cui non c'erano né grandi ricchezze, né grandi macchine, né strade ferrate: in cui le legioni di piccoli capitalisti lottavano l'una contro l'altra, nell'anarchia industriale; in cui la produzione era primitiva, dispendiosa e disorganizzata. [...]
L'associazione è più forte della rivalità. Gli uomini primitivi erano poveri schiavi che si nascondevano nelle grotte tra le rocce, ma un giorno si unirono per lottare contro i loro nemici carnivori. Le fiere avevano il solo istinto della rivalità, mentre l'uomo era dotato di un istinto di cooperazione; perciò stabilì la sua supremazia su tutti gli altri animali. E da allora non ha fatto che creare associazioni sempre più vaste. La lotta dell'organizzazione contro la concorrenza data da un migliaio di secoli, e sempre ha trionfato l'organizzazione. Quelli che si arruolano nel campo della concorrenza sono destinati a perire". [...]
Non è forse vero che un telaio meccanico tesse il panno in maggiore quantità e a minor prezzo di un telaio a mano?". Fece una pausa, ma nessuno prese la parola. "Di conseguenza, non è del tutto folle, forse, distruggere i telai meccanici per ritornare al processo grossolano e costoso della tessitura a mano?". Molte teste si agitarono in segno di assenso.
"Non è vero che l'associazione d'interessi conosciuta sotto il nome di trust produce, in maniera più pratica e più economica, quanto non producano un migliaio di piccole imprese rivali?". Non si levò nessuna obiezione. "Dunque, non è irragionevole distruggere questa associazione d'interessi economici e pratici?". [...]
"Invece di distruggere quelle macchine meravigliose, controlliamole. Approfittiamo dell'efficienza e dell'economia che ci offrono. Soppiantiamo gli attuali padroni e facciamole funzionare noi stessi. Questo, signori, è il socialismo; un'associazione più vasta di trust, un'organizzazione sociale e economica più grande di quante ne sono esistite finora sul nostro pianeta. Ed è al passo con l'evoluzione. Affrontiamo le associazioni con un'associazione superiore. Abbiamo buone carte in mano. Schieratevi con noi e sarete dalla parte vincente".» [4]
E dal capitolo 9:
«"Non potete distruggere le macchine", replicò Ernest. "Non potete fermare l'evoluzione. Avete contro due grandi forze, una delle quali è più potente della media borghesia. I grandi capitalisti, i trust, in altre parole, non vi lasceranno tornare indietro. Non vogliono la distruzione delle macchine. E più potente del trust è la forza del lavoro. Essa non vi permetterà mai di distruggere le macchine. La proprietà del mondo, comprese le macchine, sta tra i trust e il lavoro. Questo è lo schieramento in campo. Nessuno dei due avversari vuole la distruzione delle macchine, ma ciascuno ne vuole il possesso. In questa lotta non c'è posto per la media borghesia, vero pigmeo fra due titani. Non capite, voi poveri medi borghesi, che siete presi fra due macine che hanno già cominciato a girare.
[…]
Se il lavoro ne uscirà vincitore, il vostro cammino sarà facile.
La vita, anziché essere schiacciata dalle macchine, sarà resa da esse più bella, più felice e più nobile. Come membri della media borghesia abolita, insieme con la classe dei lavoratori, la sola che sopravviverà, parteciperete all'equa ripartizione dei prodotti di quelle macchine meravigliose. E noi, noi tutti, ne costruiremo di più meravigliose ancora. Non ci sarà più ricchezza non consumata, perché non esisteranno più profitti".» [5]
La piccola borghesia dovrebbe essere soprattutto un'alleata del proletariato.
Secondo me Jack London ha azzeccato bene il modo di pensare piccolo-borghese.
Vi consiglio di leggere l'intero libro. Spiega in un linguaggio molto semplice le disposizioni apparentemente complesse del marxismo.
Purtroppo alcuni lavoratori la pensano allo stesso modo dei piccoli borghesi. Soprattutto così: non è importante quello che faccio, l’importante è cosa posso avere.
La maggior parte dell'intellighenzia è infettata dalla stessa cosa.
Questa linea di pensiero rimarrà anche nella società socialista. Ed occorre vincere la forza immensa dell'abitudine e dell’inerzia delle formazioni precedenti.
[1] V. Lenin, La critica del capitalismo nei romantici, Opere complete, vol. 2, p.211-212, Edizioni Rinascita, Roma, 1954.
[2] K. Marx, Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte, p.62, edizioni Lotta Comunista, 2017.
[3] V. Lenin, I compiti dei socialdemocratici russi, Opere complete, vol. 2, p.325, Edizioni Rinascita, Roma, 1954.
[4] Jack London, Il Tallone di Ferro, Universale economica Feltrinelli, 2016, p.98-107.
[5] Ibid., p.119-120.