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L’educazione e il partito
di Manuel Santoro
“Negare in linea di principio i compromessi, negare in linea generale che i compromessi di qualsiasi natura siano ammissibili, è una cosa puerile, che è persino difficile prendere sul serio. Un uomo politico che voglia essere utile al proletariato rivoluzionario deve saper distinguere i casi concreti dei compromessi inammissibili, in cui si esprimono l’opportunismo e il tradimento.” [1] E per distinguere l’opportunismo e il tradimento dalla giusta mossa tattica che favorisce la lotta della classe operaia contro il capitale, l’uomo politico deve essere educato poiché “soltanto da una lunga opera d’istruzione e di educazione, soltanto dallo studio, dall’esperienza politica, dall’esperienza della vita” [1] è possibile utilizzare la tattica per sconfiggere un formidabile avversario di classe quale la borghesia.
Nel Manifesto del Socialismo [2] ho cercato di esporre nel modo più chiaro possibile la questione dell’educazione, la necessità di una educazione politica e partitica, ovvero non solo teorica e politica ma soprattutto organizzativa, e la incombente importanza di riaffermare la funzione del partito nella lotta tra classi. E la problematica è semplice. Senza l’organizzazione partitica, senza cioè il partito, e senza all’interno di esso di un processo educativo, istruttivo, delle tesserate e dei tesserati, i quali dovrebbero assorbire nozioni teoriche, praticare la politica ed entrare in simbiosi con gli schemi organizzativi, non è possibile alcun avanzamento sul terreno dello scontro tra classi per le lavoratrici e i lavoratori. Senza il partito e senza l’educazione teorica, politica ed organizzativa dei suoi membri non può esserci alcuna lotta, poiché si è perdenti in partenza. La lunga opera d’istruzione e di educazione, l’esperienza politica e il divenire parte degli ingranaggi organizzativi del partito rimangono requisiti necessari ma non sufficienti per intraprendere, con qualche successo, la lotta contro gli oppressori della classe operaia. Seguendo questo modus operandi, l’uomo politico diviene in grado di discernere la giusta mossa tattica, che aiuta la classe lavoratrice ad avanzare di un passo nella lotta, dall’errore, dal passo falso, che spesso, se in buona fede, contribuisce all’avanzamento dell’educazione e all’arricchimento dell’esperienza. “Ci sono compromessi e compromessi. Bisogna saper analizzare la situazione e le condizioni concrete di ciascuno compromesso o di ogni diversa specie di compromesso” [1], scriveva Lenin e a ragione, poiché il politico marxista è colui che pianifica il passo successivo nella lotta politica dal punto in cui è, non da un luogo immaginario. Ne tanto meno il politico marxista è colui che pur sapendo dove si trova mira a raggiungere con un solo passo vette fantastiche, fiabesche, realisticamente irraggiungibili. Il politico marxista deve sapere dove si trova e, usando la propria conoscenza, il proprio bagaglio educativo e culturale, la propria esperienza politica ed organizzativa, valutare esattamente la migliore mossa tattica per far avanzare di un passo nella giusta direzione la classe operaia in lotta. L’errore è sempre possibile, ma ciò se non è voluto, ricercato e, quindi non opportunistico, è fonte di arricchimento per la prossima mossa. “Bisogna imparare a distinguere tra chi ha dato i soldi e la rivoltella ai banditi per circoscrivere il male commesso dai banditi, per facilitarne l’arresto e la fucilazione, e chi dà ai banditi i soldi e la rivoltella per spartire con loro la refurtiva. Nella politica le cose non sono sempre così facili come nel mio esempio, accessibile anche a un bambino. Ma chi voglia escogitare per gli operai una ricetta che offra soluzioni già pronte per tutti i casi della vita o prometta che nell’azione politica del proletariato rivoluzionario non ci saranno mai difficoltà e situazioni intricate, chi voglia far questo sarà semplicemente un ciarlatano.” [1]
Il compromesso è, di conseguenza, parte della tattica per l’avanzamento pratico della lotta a favore della classe operaia, e il politico ha il dovere di educarsi dentro l’organizzazione dal punto di vista teorico, politico ed organizzativo per scegliere, in caso di necessità, il giusto compromesso e per poter intuire l’opportunismo nelle scelte altrui. Senza il partito tutto ciò non è possibile. Senza l’organizzazione nulla si può fare per quanto siano brillanti e rette le idee socialiste. Il partito rimane l’unico strumento per la lotta di classe poiché “l’importanza del tema della necessità del partito inteso come forma organizzativa politicamente organica e ideologicamente coerente si può intendere tenendo conto della sua funzione primaria. Essere contemporaneamente centro di organizzazione e di educazione politica.” [2] È solo nel partito marxista-leninista, socialista oggi e comunista domani, per il raggiungimento della società socialista oggi e della società senza classi domani, che si educa l’avanguardia della classe lavoratrice, cioè noi; non di certo nei movimenti, nei gruppetti, delle associazioni che trattano tematiche specifiche e sovrastrutturali che non mirano all’alternativa di società. Se si vuole contribuire al superamento deciso della società capitalistica, si studia, ci si educa, si entra e si milita nel partito combattendo qualsiasi “negazione del partito e della disciplina di partito.” [1] Poiché tale negazione “equivale a disarmare completamente il proletariato a vantaggio della borghesia.” [1]
[1] V. Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, edizioni Lotta comunista, 2005
[2] M. Santoro, Il Manifesto del Socialismo, 2020