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Sull’accumulazione originaria
di Manuel Santoro
Da quando il sistema capitalista è emerso dalle ceneri del feudalesimo, il lavoratore si è trovato costretto a vendere la propria forza-lavoro alla classe dei capitalisti, ovvero alla classe dei proprietari dei mezzi di produzione e di sussistenza. Ma il lavoratore, l’operaio, vendendo la sua forza-lavoro, volta per volta, vende se stesso per un concordato periodo di tempo oppure per una determinata mansione in quanto la forza-lavoro si identifica con l’operaio stesso in quel frangente.
Vendendosi volta per volta, egli stesso è merce per periodi oppure per lavori determinati poiché la sua forza-lavoro è merce. L’operaio, il lavoratore è, quindi, libero di vendere la propria forza-lavoro ad un determinato capitalista così come il capitalista è libero di acquistare la forza-lavoro di un determinato operaio, ma le due classi sociali di riferimento rimangono strettamente non libere, dipendenti, prigioniere l’un l’altra nell’impalcatura capitalistica. Ovvero, l’operaio rimane schiavo dell’intera classe dei capitalisti, se non “vuole rinunciare alla propria esistenza. Egli non appartiene a questo o a quel borghese, ma alla borghesia, alla classe borghese; ed è affar suo disporre di se stesso, cioè trovarsi in questa classe borghese un compratore” [1] della sua forza-lavoro.
In questo senso il lavoratore è “libero” dal singolo capitalista seppur schiavo dell’intera classe dei capitalisti. Il lavoratore è, in particolare, doppiamente libero, sia in quanto non facente parte direttamente dei mezzi di produzione come invece gli schiavi della società antica oppure come i servi della gleba della società feudale, sia in quanto privo della proprietà dei mezzi di produzione, come i “contadini coltivatori diretti” [2].
Nella società antica, “lo schiavo non vendeva il suo lavoro [forza-lavoro] al padrone di schiavi, come il bue non vende al contadino la propria opera. Lo schiavo, …, è venduto una volta per sempre al suo padrone.” [1] Il servo è merce sempre; è merce in carne e ossa per tempi e compiti illimitati mentre non è merce la sua forza-lavoro. Nella società feudale, invece, “il servo della gleba vende soltanto una parte del suo lavoro. Non è lui che riceve un salario dal proprietario della terra; è piuttosto il proprietario della terra che riceve da lui un tributo. Il servo della gleba appartiene alla terra e porta frutti al signore della terra.” [1]
Nella società capitalista il lavoratore doppiamente libero, il “produttore diretto” ora salariato, vende la sua forza-lavoro al migliore offerente, al migliore acquirente, al migliore possessore delle materie prime, dei mezzi di produzione, per un determinato periodo di tempo oppure per il completamento di un lavoro preciso. Lo spoglio completo dell’operaio, che possiede ora solo la propria forza-lavoro per sopravvivere, e l’accaparramento dei mezzi di produzione e di sussistenza da parte del capitalista, sono i presupposti per l’attivazione del rapporto capitalistico. Sono i presupposti dell’accumulazione originaria: “perciò il processo che genera il rapporto capitalistico non può essere altro che il processo di separazione del lavoratore dalla proprietà delle sue condizioni di lavoro, processo che da un lato converte in capitale i mezzi di sussistenza e di produzione sociali, dall’altro trasforma i produttori diretti in operai salariati. Perciò la cosiddetta accumulazione originaria non è altro che il processo storico di separazione del produttore dai mezzi di produzione.” [2] Il produttore diretto, quindi, diventa lavoratore salariato e l’accumulatore dei mezzi di produzione diventa capitalista. “Il punto di partenza dello sviluppo che genera sia l’operaio salariato sia il capitalista è stata la servitù dei lavoratori.” [2] L’espropriazione degli strumenti di lavoro rende il produttore diretto schiavo della classe sociale che possiede i nuovi strumenti del lavoro, e nella fase storica che nasce, mentre il feudalesimo tramonta, masse di produttori diventano salariati, costretti cioè e vendersi sul mercato in crescita del lavoro salariato: “L’antico sistema della manifattura o dell’industria fondata sul lavoro manuale venne completamente distrutto in tutti i paesi del mondo dai prezzi dei prodotti industriali che si facevano sempre più bassi in seguito al lavoro fatto con le macchine.” [3] E “queste macchine, che erano molto costose e quindi potevano essere acquistate solo da grandi capitalisti”, ovvero da coloro che riuscirono ad accumulare originariamente, “trasformarono tutto il modo di produzione esistente e soppiantarono i lavoratori che c’erano stati fino ad allora, giacché le macchine fornivano le merci a più basso prezzo e migliori di quanto potessero produrle i lavoratori [produttori diretti] con i loro filatoi e telai imperfetti. Così quelle macchine diedero l’industria completamente in mano ai grandi capitalisti e tolsero ogni valore alla poca proprietà degli operai (strumenti da lavoro, telai, ecc.), cosicché i capitalisti ebbero ben presto tutto nelle loro mani, e ai lavoratori non rimase nulla.” [3] E dall’accumulazione originaria, che avviene con la forza, con l’esproprio, con la violenza, ovvero con il modus operandi di una forza rivoluzionaria come era la borghesia che emergeva dal feudalesimo, che si evolve la società capitalista i cui tratti fondamentali, come vedremo nei prossimi interventi, sono l’accumulazione dei capitali, la divisione del lavoro, l’aumento della proletarizzazione delle masse.
[1] K. Marx, Lavoro salariato e capitale, da marxpedia, capitolo I
[2] K. Marx, Il Capitale, Libro primo, Settima sezione, capitolo ventiquattresimo, Newton Compton Editori
[3] F. Engels, Principi del comunismo, 1847