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Plusvalore e profitto In evidenza
In questa lezione del seminario “Incontro con Lenin”, continuiamo a trattare il testo di Lenin “Tre fonti e tre parti integranti del marxismo” iniziando a discutere dell’economia politica inglese. Abbiamo analizzato nelle precedenti lezioni la prima fonte del marxismo, ovvero il primo pilastro di cui il marxismo è successore, la filosofia classerà tedesca. Ora tratteremo dell’economia classica inglese.
Video-lezione disponibile sul canale YouTube della Scuola Rossa: https://youtu.be/1vWWWNGcHqQ?si=MI2ylqCZz17MYNQe
Scrive Lenin che
resosi conto che il regime economico costituisce la base sulla quale si erige la sovrastruttura politica, Marx risolve la sua attenzione soprattutto allo studio di questo regime economico. L’opera principale di Marx – il Capitale - [continua Lenin], è consacrata allo studio del regime economico della società moderna, cioè capitalistica.
Il punto di partenza per Marx è nel lavoro di Adam Smith e David Ricardo, i quali, come riporta Lenin,
gettarono le basi della teoria secondo cui il valore deriva dal lavoro.
Marx continuò tale lavoro e
dimostrò che il valore di ogni merce è determinato dalla quantità di lavoro socialmente necessario, ovvero dal tempo di lavoro socialmente necessario alla sua produzione.
Ed è ciò che vedremo nel dettaglio come parte di questo seminario, arrivando al cuore del discorso, ovvero al valore di una merce come tempo di lavoro socialmente necessario alla sua produzione. Partiamo dal salario.
Ricordiamo, prima di proseguire, che, come riporta Marx,
il salario non è una partecipazione dell’operaio alla merce da lui prodotta. Il salario è quella parte di merce, già preesistente, con la quale il capitalista si compera una determinata quantità di forza-lavoro.
L’operaio vende la propria forza-lavoro al capitalista per comprarsi, con il salario ricevuto, i mezzi di sussistenza necessari alla soddisfazione sicuramente dei bisogni assoluti e, in certi casi, alla minima soddisfazione di quelli relativi.
Dice Marx che
quanto meno tempo si richiede per apprendere un lavoro, tanto minori sono i costi di produzione dell’operaio, tanto più basso è il prezzo della sua forza-lavoro, il suo salario. Nei rami industriali dove non si richiede nessun apprendistato e basta la semplice esistenza fisica dell’operaio, i costi di produzione richiesti per la sua formazione si riducono quasi esclusivamente alle merci necessarie per mantenerlo in vita. Il prezzo della sua forza-lavoro sarà dunque determinato dal prezzo dei mezzi di sussistenza necessari.
Inoltre, continua Marx,
i costi di produzione del semplice lavoro ammontano ai costi di esistenza e di riproduzione dell’operaio. Il prezzo di questi costi di esistenza e di riproduzione costituisce il salario. Il salario così determinato si chiama salario minimo. Questo salario minimo, come, in generale, la determinazione del prezzo delle merci secondo i costi di produzione, vale non per il singolo individuo, ma per la specie. Singoli operai, milioni di operai non ricevono abbastanza per vivere e riprodursi; ma il salario dell’intera classe operaia, entro i limiti delle sue oscillazioni, è uguale a questo minimo.
Se quindi il salario minimo è il salario assolutamente necessario per la sopravvivenza e la riproduzione della classe operaia, il tasso superiore del salario non può andare oltre quella soglia che neghi la generazione di plusvalore. È il plusvalore il motore del capitale; senza plusvalore non potrebbe esserci la motivazione economica da parte del capitalista nel comprare la forza-lavoro dell’operaio. Non potrebbe esserci il capitale; non potremmo discorrere di rapporti sociali di produzione capitalistici.
Scrive difatti Marx che
la produzione capitalistica non è soltanto produzione di merce, è essenzialmente produzione di plusvalore.
E, inoltre,
l’operaio non produce per sé, ma per il capitale. Quindi non basta più che l’operaio produca in genere. Deve produrre plusvalore. È produttivo solo quell’operaio che produce plusvalore per il capitalista, ossia che serve all’autovalorizzazione del capitale.
Un esempio molto importante che Marx riporta nel Capitale ma che ci consente di porre l’accento sulla differenza tra salariato produttivo e altre forme di salariato, naturalmente non produttivo, non operaio, come per esempio la figura del salariato commerciale che vedremo in seguito nel Capitale, è il seguente:
un maestro di scuola è lavoratore produttivo se non si limita a lavorare le teste dei bambini, ma se si logora dal lavoro per arricchire l’imprenditore della scuola. Che questi abbia investito il suo denaro in una fabbrica d’istruzione invece che in una fabbrica di salsicce, non cambia nulla nella relazione. Il concetto di operaio produttivo non implica dunque affatto soltanto una relazione fra attività ed effetto utile, fra operaio e prodotto del lavoro, ma implica anche un rapporto di produzione specificamente sociale, di origine storica, che imprime all’operaio il marchio di mezzo diretto di valorizzazione del capitale.
L’operaio, il salariato produttivo, quindi, è tale se crea valori, se crea valori di scambio. Il salariato commerciale, ovvero ciò che oggi chiameremmo per esempio, impiegato, non è causa del plusvalore, poiché tale figura non produce direttamente plusvalore, come invece il salariato produttivo ovvero l’operaio, ma è l’effetto dell’aumento del plusvalore.
Vediamo ora brevemente il capitale. Esso è scomposto in due parti: capitale costante e capitale variabile. Vediamo ora queste due componenti un po' più da vicino.
Come prima nozione, vediamo il valore dell’oggetto finito o del prodotto dal punto di vista dell’operaio. L’operaio vendendo la propria forza-lavoro al capitalista per un salario, aggiunge valore all’oggetto in produzione attraverso il lavoro, o meglio attraverso una determinata quantità di tempo di lavoro.
Dall’altra parte, il valore dell’oggetto prodotto, finito, è anche composto dai valori delle materie prime, dai valori degli strumenti di produzione, dai valori delle materie ausiliarie, ovvero nel complesso dai valori dei mezzi di produzione usati. Questi valori vengono trasferiti nel processo di produzione, e conservati in parte attraverso tale trasferimento, direttamente nel prodotto finito attraverso la conversione o trasformazione dei mezzi di produzione in prodotto. Tale conversione è “mediata”, dice Marx, dal lavoro dell’operaio.
Da una parte, quindi, l’operaio crea attraverso l’atto del lavoro nuovo valore, dall’altro trasferisce valore nell’oggetto finito. Questa bilateralità del lavoro dell’operaio avviene contemporaneamente. Da una parte crea nuovo valore che diventa parte dell’oggetto prodotto; dall’altra trasferisce il valore dei mezzi di produzione nell’oggetto prodotto.
Senza la forza-lavoro dell’operaio, la macchina per filare rimarrebbe macchina per filare; la tessitrice rimarrebbe tessitrice. In altre parole, il lavoro accumulato rimarrebbe lavoro accumulato e non capitale. Ma tramite il contatto con la forza-lavoro dell’operaio, il lavoro accumulato diventa capitale e nel tempo di lavoro che l’operaio dedica al processo di produzione dell’oggetto, egli aggiunge nuovo valore. Il nuovo valore, quindi, dipende, nel suo ammontare, dal tempo di lavoro che l’operaio dedica a quella determinata produzione.
Abbiamo detto che il valore dei mezzi di produzione viene trasferito nel valore dell’oggetto prodotto; ciò implica che la forma dei valori d’uso dei mezzi di produzione usati trapassa per ricomparire in una nuova forma di valori d’uso con l’oggetto finito. Ovvero, i valori dei mezzi di produzione vengono trasferiti mentre la loro forma si rinnova nell’oggetto prodotto.
Scrive Marx che
il filatore aggiunge tempo di lavoro solo filando, il tessitore solo tessendo, il fabbro battendo il ferro. Ma i mezzi di produzione, cotone e fuso, refe e telaio, ferro e incudine, diventano elementi costitutivi d'un prodotto, d'un nuovo valore d'uso, appunto mediante la forma idonea a un fine nella quale filatore, tessitore, fabbro aggiungono lavoro in genere e quindi nuovo valore. La vecchia forma del loro valore d'uso trapassa, ma soltanto per passare in una nuova forma di valore d'uso.
In altre parole, se consideriamo come lavoro accumulato il cotone (materia prima) e la macchina per filare il cotone (strumento di produzione), con cotone e macchina per filare il cotone mezzi di produzione, il lavoro del filatore consiste nel produrre il filo. I valori del cotone e della macchina per filare si traferiscono nel valore del filo, ma i valori d’uso di cotone e filatrice trapassano (come forma) per riemergere in una nuova forma di valore d’uso: quella del filo. È assolutamente evidente come il valore d’uso del cotone sia diverso dal valore d’uso del filo.
Ma i mezzi di produzione in quanto lavoro accumulato sono valori precedentemente generati. Il tempo di lavoro necessario per la produzione dei valori d’uso che andranno ad essere consumati nel nuovo processo produttivo, costituiscono una parte del tempo di lavoro necessario per la produzione del nuovo valore d’uso. In altre parole, il tempo di lavoro necessario per la produzione del cotone, della filatrice e di ciò che serve per la produzione del filo, costituisce una parte del tempo di lavoro necessario per la produzione del filo stesso. Che, a sua volta, costituisce una parte del tempo di lavoro necessario per la produzione del tessuto.
Scrive difatti Marx che
quel che vien trasferito dal mezzo di produzione consumato al nuovo prodotto, è il tempo di lavoro. Dunque l'operaio conserva i valori dei mezzi di produzione consumati, cioè li trasferisce nel prodotto come parti costitutive del valore, non attraverso la sua aggiunta di lavoro in genere, ma attraverso il carattere utile particolare, attraverso la forma produttiva specifica di questo lavoro aggiuntivo.
I valori dei mezzi di produzione vengono trasferiti nell’oggetto prodotto; la forma dei valori cambia, poiché la forma dei valori del lavoro accumulato trapassa e una nuova forma del valore dell’oggetto prodotto emerge; il tempo di lavoro necessario per la produzione di un oggetto (cotone – filo; filo – tessuto) contiene il tempo di lavoro necessario per la produzione dei mezzi di produzione necessari per la produzione del nuovo oggetto. La forza-lavoro dell’operaio trasferisce i valori dei mezzi di produzione nell’oggetto finito (da cotone e filatrice a filo); causa il trapasso di vecchie forme di valori d’uso (cotone e filatrice) e, nel processo produttivo, causa l’emergere di nuove forme di valori d’uso (filo); aggiunge tempo di lavoro ai tempi di lavoro che sono stati socialmente necessari per produrre i mezzi di produzione, per produrre il nuovo oggetto finito.
Nel processo di produzione, quindi, abbiamo il convergere di fattori che vanno a costituire il valore dell’oggetto prodotto, finito. L’avanzo in quanto differenza positiva tra il valore dell’oggetto finito e la somma dei valori entrati nel processo di produzione è l’avanzo del capitale valorizzato al termine del processo di produzione sul valore del capitale anticipato.
I mezzi di produzione da una parte, la forza-lavoro dall'altra, sono solo le componenti del capitale anticipato, iniziale, investito potremmo dire, in quanto forma trasformata da quella del denaro.
La parte del capitale che si materializza in mezzi di produzione, ovvero in materie prime, materiali ausiliari e strumenti di lavoro, non cambia i propri valori all’interno della produzione. Ciò è il capitale costante.
La parte del capitale che si materializza in forza-lavoro è capitale variabile poiché cambia il proprio valore nella produzione. Oltre a riprodurre se stesso attraverso il consumo di mezzi di sussistenza, produce plusvalore.
All’interno dei processi di produzione abbiamo quindi i mezzi di produzione e la forza-lavoro la cui iterazione rende il lavoro accumulato capitale, il quale dal punto di vista dei valori e della valorizzazione all’interno del processo produttivo, si divide in capitale costante e capitale variabile.
Consideriamo ora come capitale anticipato la somma tra il capitale costante e capitale variabile, ovvero denaro convertito, o speso, in mezzi di produzione e denaro convertito, o speso, in forza-lavoro. Abbiamo detto che l’avanzo tra il valore dell’oggetto finito e la somma dei valori entrati nel processo di produzione costituisce il plusvalore. Detto in altri termini, il plusvalore costituisce la valorizzazione del capitale anticipato e si presenta, scrive Marx,
in un primo momento come eccedenza del valore del prodotto sulla somma dei valori degli elementi della sua produzione.
Consideriamo il capitale anticipato come capitale costante più capitale variabile.
Il capitale valorizzato al termine della produzione è uguale alla somma del capitale costante più capitale variabile, più plusvalore. Ma dato che il valore del capitale costante viene trasferito nel prodotto, e dato che è la forza-lavoro a generare plusvalore, il capitale valorizzato è capitale variabile più plusvalore. In altre parole, il plusvalore è conseguenza del cambiamento di valore del capitale variabile.
Il plusvalore è quindi legato al lavoro, ed è prodotto dalla forza-lavoro.
Supponiamo che l’operaio usi solo gli elementi presenti in natura, senza mezzi di produzione. Oppure, come riporta Marx,
se per esempio qualcuno vuol calcolare il guadagno dell’Inghilterra nell’industria cotoniera, per prima cosa sottrae il prezzo del cotone pagato agli Stati Uniti, all’India, all’Egitto, ecc.; cioè pone eguale a zero il valore di capitale che non fa che ripresentarsi nel valore di prodotto.
Su ciò rimarchiamo che quando studieremo il Capitale entreremo un po’ più nel dettaglio relativamente al trasferimento dei valori poiché
la parte del capitale costante impiegato consistente di mezzi di lavoro che cede al prodotto solo una porzione del suo valore mentre l’altra porzione continua a esistere nella vecchia forma.
Ciò non modifica la nostra esposizione.
Tornando all’esempio, il capitale costante sarebbe zero. Non ci sarebbe allora nessun trasferimento di valore dalla parte costante del capitale. Avremmo, quindi, solo capitale variabile anticipato che si trasforma in capitale variabile anticipato più plusvalore. Il capitale valorizzato sarebbe quindi uguale alla somma del capitale variabile anticipato più l’incremento di capitale variabile. Anche senza capitale costante, quindi, senza alcun anticipo di denaro da parte del capitalista per l’acquisto dei mezzi di produzione, abbiamo plusvalore. Il plusvalore viene quindi tutto e completamente dall’operaio.
Scrive Marx che
il reale cambiamento di valore e il rapporto secondo il quale il valore cambia, vengono oscurati per il fatto che in conseguenza della crescita della sua componente variabile, cresce anche il capitale complessivo anticipato.
Questo punto è importante poiché la borghesia gioca sul fatto che la valorizzazione del capitale dipenda anche dal capitale costante immesso nella produzione, ma abbiamo visto che ciò non è assolutamente vero.
Continuiamo a porre uguale a zero il capitale costante. Abbiamo visto che il capitale anticipato è capitale variabile anticipato il quale viene trasformato in capitale valorizzato il quale è di fatto capitale variabile più l’incremento di capitale variabile o plusvalore.
La domanda quindi è: quanto plusvalore esce dalla produzione rispetto al capitale variabile? O meglio, quanto plusvalore si crea a parità di capitale variabile anticipato? Tale quantità si chiama saggio del plusvalore ed è uguale al rapporto tra plusvalore e capitale variabile. Se tale rapporto è uguale a zero, allora ciò implica che il plusvalore è zero e nel processo produttivo non ci è stata valorizzazione del capitale variabile. Se per esempio il rapporto è uguale a 1, la valorizzazione è stata pari al 100% del capitale variabile. Ovvero, il plusvalore prodotto risulta uguale al capitale variabile anticipato. Per unità di capitale variabile anticipato, ci ritroviamo una unità di plusvalore.
È molto importante ricordarsi che il saggio del plusvalore non è il rapporto tra il plusvalore e tutto il capitale (cioè sarebbe il saggio di profitto), ma il rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile.
Per comprendere meglio, consideriamo il tempo di lavoro dell’operaio. Dopotutto, il capitale variabile è l’investimento in denaro che il capitalista fa nel comprare la forza-lavoro dell’operaio. E tale investimento equivale ai mezzi di sussistenza necessari alla vita e alla riproduzione dell’operaio in quanto classe. Sappiamo che il salario è il prezzo della forza-lavoro il quale è in media uguale ai suoi costi di produzione; e i costi di produzione dell’operaio corrispondono a ciò che necessita l’operaio semplice per la vita e la riproduzione in termini di mezzi di sussistenza.
Il tempo di lavoro nella produzione da parte dell’operaio varia a seconda dei valori medi dei mezzi di sussistenza che gli sono necessari, dunque a seconda del tempo di lavoro medio richiesto per la loro produzione.
Scrive Marx che
se il valore dei mezzi di sussistenza quotidiani dell’operaio rappresenta in media 6 ore lavorative oggettivate, l’operaio deve lavorare in media 6 ore al giorno per poterlo produrre.
Supponendo che in denaro queste 6 ore di lavoro corrispondano a 36 euro in quanto valore in denaro della forza-lavoro, l’operaio lavora queste 6 ore e intasca come salario questi 36 euro come anticipo da parte del capitalista. Il capitale variabile dopo la produzione sarebbe uguale, in valore, al capitale variabile prima della produzione. Quindi, il lavoro dell’operaio, scrive Marx,
non fa che reintegrare il valore variabile di capitale anticipato, quella produzione di valore si presenta come pura e semplice riproduzione.
Marx definisce come “tempo di lavoro necessario” la parte della giornata lavorativa nella quale si svolge questa riproduzione, e definisce come “lavoro necessario” il lavoro fatto durante questa parte della giornata lavorativa.
L’operaio, quindi, lavora il tempo necessario per coprire i propri bisogni legati alla vita e alla riproduzione. Ma ciò non corrisponde alla realtà. Egli lavora anche oltre. Lavora, ovvero, oltre i limiti del lavoro necessario senza che riceva un compenso in salario. Ovvero, crea plusvalore: pluslavoro che regala al capitalista e che il capitalista intasca come plusvalore [rimanendo nel generale].
Marx definisce “tempo di lavoro soverchio” questa parte della giornata lavorativa, oltre il tempo di lavoro necessario: “pluslavoro” appunto, il lavoro compiuto in questo tempo di lavoro soverchio.
Il tempo che l’operaio dedica al lavoro si costituisce quindi in tempo di lavoro necessario e tempo di lavoro soverchio. Il lavoro compiuto dall’operaio dentro l’intero tempo del lavoro si divide in lavoro necessario e pluslavoro. Il valore del capitale variabile si trasforma in capitale variabile (che equivale al valore della forza-lavoro acquistata) e plusvalore.
Quindi, il plusvalore sta al capitale variabile nello stesso rapporto che il pluslavoro sta al lavoro necessario; cioè il saggio del plusvalore è sì rapporto tra plusvalore e capitale variabile ma anche, in quanto equivalente, tra pluslavoro e lavoro necessario.
Scrive Marx che
i due rapporti esprimono la stessa relazione in forma differente.
Quindi, il saggio del plusvalore è l’espressione esatta del grado di sfruttamento della forza-lavoro da parte del capitalista. Il grado di sfruttamento dell’operaio da parte del capitalista. Più è alto il saggio del plusvalore, più è alto il grado di sfruttamento della forza-lavoro poiché più è alto il plusvalore per unità di capitale variabile.
Affrontiamo ora altri due concetti: la formula generale del capitale e il saggio del profitto.
Prima di arrivare alla formula che costituisce di fatto il flusso, l’essenza del capitale, consideriamo il periodo pre-capitalistico. Sappiamo che i primi elementi della borghesia emergono in Europa sin dal basso medioevo, per esempio in Italia, e ciò porta Engels nella prefazione italiana al Manifesto del partito comunista a dichiarare che l’Italia è stato il primo paese capitalistico. Con l’emersione di categorie sociali quali i mercanti, i commercianti e lo sviluppo del commercio, si sviluppano gli elementi che poi andranno a costituire i presupposti dell’esistenza del capitale. È utile per noi ricordare ciò che Marx ed Engels scrivono nel Manifesto del partito comunista, ovvero:
La scoperta dell'America, la circumnavigazione dell'Africa crearono alla sorgente borghesia un nuovo terreno. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la colonizzazione dell'America, gli scambi con le colonie, l'aumento dei mezzi di scambio e delle merci in genere diedero al commercio, alla navigazione, all'industria uno slancio fino allora mai conosciuto, e con ciò impressero un rapido sviluppo all'elemento rivoluzionario entro la società feudale in disgregazione.
L'esercizio dell'industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava più al fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentrò la manifattura. Il medio ceto industriale soppiantò i maestri artigiani; la divisione del lavoro fra le diverse corporazioni scomparve davanti alla divisione del lavoro nella singola officina stessa.
Ma i mercati crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la manifattura era più sufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale. All'industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna; al ceto medio industriale subentrarono i milionari dell'industria, i capi di interi eserciti industriali, i borghesi moderni.
Quindi, da una economica feudale o corporativa si passa ad una economica manifatturiera e infine ad una economica capitalistica. Ciò che ci interessa è in particolare il passaggio dall’economia mercantilista a quella fisiocratica per arrivare al capitalismo.
Scrive difatti Marx che
dal punto di vista storico, il capitale si contrappone dappertutto alla proprietà fondiaria nella forma di denaro, come patrimonio in denaro, capitale mercantile e capitale usuraio,
e il denaro è la prima forma nella quale si presenta il capitale.
Consideriamo ora la forma della circolazione semplice delle merci M-D-M, circolazione pre-capitalistica. Ovvero, trasformazione di merce in denaro, tramite la vendita, e tramite il denaro ottenuto, l’acquisto di altra merce. In definitiva, vendere per comprare. La circolazione semplice delle merci comincia con la vendita e finisce con l’acquisto. In questa forma, la circolazione complessiva è mediata dal denaro che è nel mezzo tra le due M (merci). Un esempio di circolazione semplice delle merci è il contadino che vende una certa quantità di grano, riceve il denaro con il quale egli può comprare vestiti per se stesso e la propria famiglia. Il denaro media nella circolazione tra grano e vestiti. In effetti, qui si ha lo scambio di merce contro merce. In altre parole, nella circolazione semplice delle merci M-D-M, il contadino vende per acquistare e di conseguenza il denaro che media tra le due merci viene speso.
La forma della circolazione del capitale, invece, è D-M-D, ovvero acquisto di merce tramite il denaro e rivendita della merce per ottenere denaro. Trasformazione di denaro in merce e nuova trasformazione di merce in denaro, comprare per vendere. In questo caso non è il denaro a mediare, dentro la circolazione, tra le due merci ma è la merce a mediare tra il denaro prima e il denaro dopo il ciclo. Qui si ha lo scambio di denaro contro denaro. In altre parole, nella circolazione del denaro, il capitalista acquista per poi vendere e di conseguenza il denaro viene qui anticipato.
Nella forma della circolazione semplice delle merci è il denaro ad essere scambiato in quanto mediatore; nella forma della circolazione del capitale è la merce ad essere scambiata in quanto mediatrice.
Nel caso della formula M-D-M, come esempio, se il contadino vende 1 quintale di grano per 50€ (consideriamo l’euro per facilitare la comprensione) e con questi 50€ compera i vestiti per la famiglia, i 50€ sono spesi definitivamente. Il contadino non ha più niente a che fare con essi. Sono del commerciante di vestiti. Ma nel caso ci fosse una nuova vendita di un secondo quintale di grano, il denaro riaffluirebbe al contadino, però non in seguito alla prima transazione, ma soltanto in seguito alla ripetizione di essa. Appena il contadino porta a termine la seconda transazione e fa una nuova compera di vestiti o di altro, il denaro si allontana di nuovo in modo definitivo dal contadino. Non vi è quindi ritorno di denaro in questo caso, anzi vi è un completo trapasso da una mano all’altra. Il contadino, quindi, vende valori d’uso per acquistare altri valori d’uso poiché il suo fine è il consumo dei vestiti attraverso la vendita del grano; è la soddisfazione di bisogni attraverso l’utilità, il valore d’uso appunto, dei vestiti a parità di grandezza di valore per lo scambio. In mano al contadino rimane lo stesso valore, cioè la stessa quantità di lavoro sociale oggettivato, nella forma, prima, della sua merce, poi del denaro nel quale si trasforma, infine della merce nella quale questo denaro si ritrasforma. Questo cambiamento di forma della merce, scrive Marx, non implica nessuna mutazione della grandezza di valore. Avviene uno scambio tra equivalenti, quindi, non vi è alcuna valorizzazione di valore.
Inoltre, scrive Marx che
nella circolazione semplice delle merci i due estremi hanno la stessa forma economica. Entrambi sono merce. E sono anche merci della stessa grandezza di valore. Ma sono valori d'uso qualitativamente differenti, per esempio, grano e vestiti.
Valori d’uso, quindi, qualitativamente differenti.
Nella forma D-M-D, invece, vi è il ritorno del denaro al punto di partenza poiché qui vi è un anticipo di denaro per comprare la merce la quale viene rivenduta in cambio di denaro. Il denaro all’inizio e alla fine del ciclo è semplicemente denaro e quindi non associabile a determinati valori d’uso qualitativamente distinti poiché la forma denaro corrisponde al valore di una merce il cui valore d’uso però è definitivamente estinto.
Naturalmente, non avrebbe alcun senso anticipare una certa quantità di euro per una determinata merce e rivendere la stessa merce per la stessa quantità di euro. Tanto vale tenersi in tasca il denaro senza introdurlo nella circolazione.
Il denaro all’inizio del ciclo si differisce rispetto al denaro alla fine del ciclo solo per il suo ammontare, la sua grandezza quantitativa. Perciò, affinché si dia un senso nella formula D-M-D, il denaro che si intasca al termine del ciclo deve essere diverso, e naturalmente maggiore, quantitativamente maggiore, rispetto al denaro introdotto con l’acquisto di merce. La formula D-M-D è quindi D-M-D’ dove D' = D + ΔD, cioè è uguale alla somma di denaro originariamente anticipata, più un incremento.
Marx definisce plusvalore questo incremento, ossia questa eccedenza sul valore originario. Ricordiamo che il plusvalore si materializza grazie all’atto del lavoro da parte della forza-lavoro; è la valorizzazione del capitale variabile rispetto al capitale variabile anticipato. In altre parole, è plus-lavoro, ovvero lavoro non remunerato che l’operaio compie gratis, che il capitalista intasca in termini di valore, in termini di denaro. Il plusvalore, quindi, nasce esclusivamente dal lavoro salariato, e il merito del capitalista è uguale a zero.
Scrive, quindi, Marx che
nella circolazione il valore originariamente anticipato non solo si conserva, ma in essa altera anche la propria grandezza di valore, aggiunge un plusvalore, ossia si valorizza. E questo movimento lo trasforma in capitale. Il processo che produce questa maggiore somma di valore è la produzione capitalistica; il processo che realizza questa maggiore somma di valore è la circolazione del capitale.
Se come esempio, supponessimo di introdurre nella circolazione una quota di denaro pari a 24.000€ con la quale si compra della merce che viene utilizzata per il processo produttivo, e al suo termine la vendita permettesse un ritorno di denaro pari a 26.400€ di cui 2.400€ di plusvalore in denaro, potremmo spendere questo denaro maggiorato oppure potremmo riutilizzarlo per ripetere il ciclo di valorizzazione partendo da una somma di denaro di 26.400€ invece di 24.000€. Il termine di un ciclo D-M-D’ costituisce, quindi, l’inizio di un nuovo ciclo e ciò avviene in modo perpetuo. Mentre nella circolazione semplice delle merci il fine è sempre l’acquisto di valori d’uso per la soddisfazione di bisogni precisi, nella circolazione del capitale il fine è il perpetuo rinnovo maggiorato del capitale stesso e ciò può avvenire solo dentro la circolazione. Riprendendo Marx:
il valore d'uso non dev’essere mai considerato fine immediato del capitalista. E neppure il singolo guadagno: ma soltanto il moto incessante del guadagnare.
Colui che possiede il capitale compra la merce, produce nuova merce non per il suo valore d’uso né per il consumo personale ma solo per produrre valore aggiunto, incremento di valore, eccedenza di valore che il prodotto finito ha sulla somma dei valori del capitale anticipato. Colui che fa tutto ciò è naturalmente il capitalista, il quale anticipa il capitale e grazie alla forza-lavoro nella produzione che riproduce tale capitale più un’eccedenza di valore, il capitalista si arricchisce e può nuovamente riattivare il ciclo con un capitale anticipato maggiorato.
Scrive Marx che il capitalista può
convertire in più elevato valore, il valore del capitale variabile anticipato solo mediante lo scambio di quest’ultimo con lavoro vivente, mediante sfruttamento di lavoro vivente.
Di conseguenza, il capitalista può sfruttare la forza-lavoro, la capacità di generazione di valore da parte della forza-lavoro dell’operaio, soltanto se anticipa tutto ciò che serve per l’atto del lavoro, della produzione, ovvero il capitale costante e il capitale variabile. Ciò rimane solo un anticipo e niente più. Il valore aggiunto a tale anticipo viene creato dalla forza-lavoro, dall’operaio.
Trattando del saggio del plusvalore, abbiamo visto come il plusvalore sia la valorizzazione del capitale variabile. Nella vita reale, il capitalista può sfruttare il lavoro dell’operaio se l’operaio si ritrova tra le mani i mezzi su cui trasferire la propria forza-lavoro, ovvero il capitale costante. Ciò non toglie, però, che supponendo il valore del capitale costante pari a zero, sia sempre possibile creare plusvalore da parte della forza-lavoro poiché tale valorizzazione avviene sul capitale variabile anticipato.
Di conseguenza, per lo sfruttamento dell’operaio e la valorizzazione del capitale, il capitalista deve anticipare risorse per la quota costante e variabile del capitale. Per il capitalista, l’anticipo di denaro per il capitale costante è equivalente da un punto di vista pratico all’anticipo per il capitale variabile; entrambi sono componenti del capitale da anticipare per consentire lo svolgimento dell’atto della produzione. La misura reale del profitto da parte del capitalista è quindi data dal rapporto tra il plusvalore e la totalità del capitale anticipato, e ciò si chiama saggio del profitto.
Scrive Marx che
il valore contenuto nella merce è uguale alla durata del lavoro che la produzione della merce costa, e il complesso di tale lavoro consiste di una parte pagata e di una non pagata. I costi della merce per il capitalista consistono invece soltanto della parte del lavoro in essa oggettivato che egli ha pagato.
Il plusvalore è il delta, la differenza, la quota parte di lavoro non pagata all’operaio e che, quindi, non costa nulla al capitalista. Quindi, il profitto è nella differenza tra il prezzo di vendita dell’oggetto prodotto e il prezzo di costo dello stesso oggetto. Non entreremo ora nella questione di quale possa essere il prezzo di vendita di una merce; se uguale, maggiore o minore al valore in denaro della merce stessa. Supporremo che il prezzo di vendita della merce coincida con il valore in denaro della merce stessa.
Scrive Marx che
il plusvalore, e rispettivamente il profitto, consiste proprio nell’eccedenza del valore della merce sul prezzo di costo, vale a dire nell’eccedenza della somma complessiva di lavoro incorporata nella merce rispetto alla quantità di lavoro pagato che la merce contiene.
Il saggio del profitto esprime il grado di valorizzazione dell’intero capitale anticipato.
Continua Marx:
Plusvalore e saggio del plusvalore sono, in senso relativo, l’invisibile, l’essenziale da scoprire, mentre il saggio del profitto e quindi il profitto, forma del plusvalore, si mostrano alla superficie del fenomeno.
Ciò che interessa l’operaio è naturalmente il plusvalore e, quindi, il saggio del plusvalore. Al capitalista, invece, il saggio del profitto. Anzi, il capitalista cerca in tutti i modi di confondere, oscurare, coprire, le variabili che permettono di calcolare il saggio del plusvalore e, quindi, il grado di sfruttamento dell’operaio da parte del capitalista. La retorica della classe dominante, ahimè assorbita senza alcuna critica da parte dei lavoratori, è che esista il contributo del capitalista nella creazione del valore aggiunto al termine del ciclo produttivo. Come abbiamo riportato, ciò è totalmente falso. È la forza-lavoro dell’operaio a creare il plusvalore in quanto valore del tempo di lavoro non remunerato, non pagato da parte del capitalista che il capitalista intasca in forma di denaro, rubandolo a mani basse all’operaio stesso.