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Merce, valore e lavoro sociale
di Manuel Santoro
Abbiamo sino ad ora discusso delle diverse posizioni del cittadino Weston, come riferito in “Salario, prezzo e profitto” di Marx, e da ultimo della esternazione che “i prezzi delle merci vengono determinati o regolati dai salari.” Diciamo subito che ciò non è assolutamente vero, ma comunque questa è la posizione di Weston che Marx confuta. [Vedi la video-lezione qui: https://youtu.be/N2A18xQ_mVk]
Weston altresì afferma che “anche il profitto e la rendita sono parti integranti dei prezzi delle merci, perché sui prezzi delle merci debbono venir pagati non solo i salari, ma anche i profitti dei capitalisti e le rendite dei proprietari fondiari. Ma come, a suo avviso [secondo Weston], vengono formati i prezzi? Innanzi tutto dai salari.” In altre parole, la posizione errata di Weston è la seguente: il profitto così come la rendita fondiaria sono dentro il prezzo a cui la merce verrà venduta. In particolar modo, il prezzo della merce è formato soprattutto, ma non solo, dai salari, ma anche dal profitto e dalla rendita in quanto percentuali che vengono aggiunte al prezzo della merce.
Cosa significa, però, che i prezzi delle merci sono determinati dai salari? Significa che il prezzo delle merci è determinato dal prezzo della forza-lavoro. Ma il prezzo è il valore della merce, valore in quanto valore di scambio, in denaro e, di conseguenza, l’affermazione di Weston si riduce al fatto che il valore della merce sia determinato dal valore della forza-lavoro la quale è anch’essa merce. Di conseguenza, il valore di una merce generica è determinato dal valore di una merce specifica, la forza-lavoro. Ma se il valore di una merce generica, e quindi delle merci in generale, è determinato dal valore della forza lavoro in quanto merce, cosa determina il valore della forza-lavoro? Come si calcola? È sempre merce e, di conseguenza, il ragionamento di Weston è inconclusivo poiché non spiega come si determini il valore della merce forza-lavoro, che è comunque sempre una merce.
Scrive Marx che “nella sua forma più astratta, il dogma che ‘i salari determinano i prezzi delle merci’ si riduce a dire che il valore è determinato dal valore”. Quindi, rimaniamo con il cerino in mano e la domanda rimane.
Cosa è il valore di una merce e come si determina?
Abbiamo già introdotto in passato che la merce si presenta come valore d’uso e valore di scambio. Il valore d’uso di una merce coincide con la sua esistenza naturale tangibile e, in quanto valore d’uso, la merce è un oggetto atto a soddisfare bisogni ed è quindi mezzo di sussistenza nel senso più generale del termine. Il ferro è un valore d’uso, per esempio, differente dal valore d’uso carbone, diamante, frumento. Ogni valore d’uso si realizza nel consumo.
Il valore di scambio è il valore della merce entro il quale valori d’uso differenti sono scambiati. Quantità, o proporzioni differenti di merci qualitativamente differenti in quanto valori d’uso differenti costituiscono la stessa “grandezza di valore”, lo stesso valore di scambio e possono essere scambiati.
Scrive Marx che “quando parliamo del valore, del valore di scambio di una merce, intendiamo le quantità relative nelle quali essa può venire scambiata con tutte le altre merci. Ma allora sorge la questione: come sono regolati i rapporti secondo i quali le merci vengono scambiate tra di loro?”
Se una determinata quantità di una merce è scambiabile con un’altra determinata quantità di una seconda merce, e così via, ci sono allora tante proporzioni di valori d’uso equivalenti come valori, ovvero uguali in valore, o valore di scambio. Cosa determina allora questa equivalenza? Per esempio, se riprendessimo l’esempio che Marx fa nel testo quando considera il frumento, una certa quantità di frumento può essere scambiata con determinate quantità di ferro, determinate quantità di carbone e ciò significa che vi è un valore equivalente, il valore di una ulteriore cosa che non è né frumento, né ferro, né carbone. Questo valore equivalente è la misura comune a cui determinate quantità di valori d’uso qualitativamente differenti sono riconducibili.
Naturalmente lo scambio è una funzione sociale che il filatore e tessitore dentro il nucleo familiare feudale non perseguono. Questo passaggio ci permette di chiarire brevemente, ma lo faremo prossimamente in modo esaustivo, che la merce si presenta sì come valore d’uso e valore di scambio, quindi valore, ma un valore d’uso non è necessariamente una merce. In altre parole, un oggetto può essere valore d’uso senza essere valore. Per esempio, l’aria, il terreno vergine, i prati naturali, tutto ciò che esiste in quanto “esistenza naturale tangibile” senza che sia ottenuta tramite l’atto del lavoro da parte del soggetto-uomo, è valore d’uso ma non è ovviamente merce. Così come tutto ciò che viene prodotto dal soggetto-uomo per il proprio consumo, parliamo qui di produzione patriarcale, è sì valore d’uso ma non merce. Per produrre merce, il produttore deve produrre sì valori d’uso ma valori d’uso per gli altri, ovvero valori che altri hanno necessità per la soddisfazione dei propri bisogni, mediante lo scambio. Essendo valori d’uso per altri, essi sono valori d’uso sociali e quindi lo scambio è una funzione sociale.
Scrive Engels che “il contadino medievale produceva il grano d’obbligo per il signore feudale, il grano della decima per il prete. Ma né il grano d’obbligo né il grano della decima diventavano merce per il fatto di essere prodotti per altri. Per diventare merce il prodotto deve essere trasmesso all’altro, a cui serve come valore d’uso, mediante lo scambio.”
Scrive Marx che “l'uomo che produce un oggetto per il suo proprio uso immediato, per consumarlo egli stesso, produce un prodotto, ma non una merce. Come produttore che provvede a se stesso, egli non ha niente che fare con la società.”
Quindi, il soggetto-uomo che produce ma non scambia è quindi fuori dalla società e il suo prodotto è valore d’uso ma non merce. Il soggetto-uomo che produce l’oggetto che è valore d’uso ma non valore di scambio, non merce, poiché lo usa esclusivamente per la soddisfazione di bisogni personali e non per la società, produce lavoro oggettivato ma non alienato. Abbiamo sì oggettivazione ma non alienazione. L’alienazione è estraniazione e quindi essa si materializza nella produzione di oggetti-merci, non di oggetti non merci che rimangono a beneficio, in quanto valori d’uso, del produttore per la soddisfazione dei propri bisogni. Significativo è il fatto che la merce in quanto valore d’uso e valore di scambio, sia tramite lo scambio, valore d’uso per altri e non per il produttore stesso che produce quel valore d’uso.
Tornando, quindi, alla misura comune, al valore equivalente al quale determinate quantità di valori d’uso qualitativamente differenti si riconducono, la domanda è: cosa è questa misura comune, questa “sostanza sociale”, come dice Marx, comune a tutte le merci?
Scrive Marx che “per produrre una merce egli [il produttore, l’operaio per esempio] non deve soltanto produrre un articolo che soddisfi un qualsiasi bisogno sociale [bisogni della società, dei membri della società, bisogni che come detto possono anche non coincidere con quelli del produttore stesso per diversi motivi], ma il suo lavoro stesso deve essere una parte della somma totale di lavoro impiegato dalla società. Esso deve essere subordinato alla divisione del lavoro nel seno della società. Esso non è niente senza gli altri settori del lavoro e li deve, a sua volta, integrare.”
La merce, quindi, è valore d’uso che ha un valore e tale valore è lavoro sociale materializzato. Di conseguenza, se il valore della merce è lavoro sociale materializzato, tale valore è determinato da quanto lavoro sociale è stato necessario per la produzione della stessa merce. Non da quanto lavoro ma da quanto lavoro sociale, lavoro ovvero compiuto nei diversi passaggi della divisione del lavoro sino al prodotto finito. Non solo quindi, l’atto del lavoro finale che, per esempio, dal filo si ottiene il tessuto, ma tutto il lavoro, finale e precedente, per arrivare al tessuto. Lo vedremo meglio fra nella prossima lezione, ma ricordiamo che abbiamo già introdotto che “i mezzi di produzione in quanto lavoro accumulato sono valori precedentemente generati. Il tempo di lavoro necessario per la produzione dei valori d’uso che andranno ad essere consumati nel nuovo processo produttivo, costituiscono una parte del tempo di lavoro necessario per la produzione del nuovo valore d’uso. In altre parole, il tempo di lavoro necessario per la produzione del cotone, della filatrice e di ciò che serve per la produzione del filo, costituisce una parte del tempo di lavoro necessario per la produzione del filo stesso. Che, a sua volta, costituisce una parte del tempo di lavoro necessario per la produzione del tessuto.”
Intanto analizziamo cosa si intenda per quantità di lavoro sociale per la determinazione del valore della merce. La misura della quantità di lavoro è la quantità di tempo di lavoro, ovvero il tempo necessario per il completamento di un determinato lavoro che coincide con il tempo necessario per la produzione di una determinata merce. L’unità di misura può essere ore, giorni, settimane, ecc. Quando consideriamo la quantità di tempo necessario per la produzione di una merce dobbiamo supporre che il tempo di lavoro è tempo del lavoro medio, tempo di lavoro semplice.
Una merce ha un valore di scambio, e la grandezza del suo valore, o valore relativo, dipende dalla quantità più o meno grande di tempo di lavoro necessario alla sua produzione. I valori di scambio delle merci sono determinati dalle corrispondenti quantità di tempo di lavoro necessarie alla loro produzione e valori sono uguali se uguali sono le quantità di tempo di lavoro necessarie per la produzione delle relative merci.
Scrive Marx che “il valore di una merce sta al valore di un'altra come la quantità di lavoro fissata nell'una sta alla quantità di lavoro fissata nell'altra.”
Ciò ci porta alla conclusione che il valore di una merce che è determinato dalla quantità di tempo di lavoro sociale necessario alla sua produzione non c’entra nulla con il salario, ovvero con il valore della forza-lavoro in denaro.
In conclusione, riporta Marx: “Supponiamo dunque che un quarter di grano e un'oncia d'oro posseggano lo stesso valore, cioè siano equivalenti, perché sono la cristallizzazione di uguali quantità di lavoro medio, perché rappresentano tanti giorni o tante settimane di lavoro fissato in ognuno di essi. Determinando in questo modo i valori relativi dell'oro e del grano, ci riferiamo noi, in un modo qualunque, ai salari degli operai agricoli o dei minatori? Menomamente.”