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Sintesi sul salario tra “Lavoro salariato e capitale” e “Manoscritti economico-filosofici del 1844”
di Manuel Santoro
Nell’ambito della Scuola Rossa di Convergenza Socialista, a iniziare dalla Fase I, abbiamo introdotto e trattato la tematica del salario, soprattutto con il testo “Lavoro salariato e capitale” di Marx. Trattare dei primi elementi di economia politica ci serve per educare i militanti del partito in modo tale che ci siano le basi per poter affrontare e approfondire testi più complessi.
Nell’introduzione del 1891 a “Lavoro salariato e capitale”, Engels riporta come “tra il 1840 e il 1850 Marx non aveva ancora condotto a termine la sua critica dell’economia politica” e che “ciò avvenne solo verso la fine del decennio 1850-1860.” Per critica dell’economia politica si deve intendere la critica, dice Marx, di “tutta l'economia, da W. Petty in poi, che indaga il nesso interno dei rapporti di produzione capitalistici”. I maggiori rappresentanti dell'economia politica classica in Inghilterra furono A. Smith e D. Ricardo che Marx menziona e riprende da giovane nei manoscritti economico-filosofici.
Ora, prima di affrontare la tematica del salario, alcuni concetti introduttivi. Prima di tutto, dobbiamo assolutamente comprendere la differenza tra lavoro e forza-lavoro. La forza-lavoro non è altro che la capacità lavorativa, ovvero l’energia muscolare, la capacità mentale, l’abilità che l'operaio possiede, e che deve essere riprodotta in continuazione e che consente all’operaio di “fare”, di effettuare un lavoro concreto, ad esempio, di produrre un determinato manufatto. L’operaio vende al capitalista la propria forza-lavoro, ovvero se stesso, appunto per un salario. Non vende il proprio lavoro, ma la propria forza-lavoro. La forza-lavoro si identifica con l’operaio; il lavoro è invece l’attività che la forza-lavoro compie e così facendo crea “altro valore”. È importante comprendere che la differenza tra lavoro e forza-lavoro è un punto fondamentale nell’elaborazione di Marx su concetti quali salario, capitale (questo tra costante e variabile), plus-lavoro e plus-valore; punto fondamentale su tutta l’impalcatura dell’elaborazione di Marx sullo sfruttamento da parte della classe capitalistica, la quale è classe dominante nel capitalismo. Secondo, accenniamo al concetto di merce. La merce è l’unità elementare della ricchezza borghese e “si presenta sotto il duplice punto di vista di valore d'uso e di valore di scambio”. Valore d’uso per le sue caratteristiche qualitative (soggettive, che differiscono da persona a persona) e valore di scambio come porzione del lavoro sociale complessivo.
Da cosa dipende il prezzo di una merce? Dalla concorrenza fra compratori e venditori, dal rapporto tra la domanda e la disponibilità, tra l’offerta e la richiesta. E, come scrive Marx “la concorrenza, da cui viene determinato il prezzo di una merce, ha tre aspetti.” La concorrenza tra i diversi venditori; la concorrenza tra i diversi compratori; la concorrenza tra venditori e compratori. Continua Marx: “la stessa merce è offerta da diversi venditori. Colui che vende merci della stessa qualità più a buon mercato è sicuro di eliminare gli altri venditori e di assicurarsi lo smercio maggiore. I venditori si disputano dunque reciprocamente le possibilità di vendita, il mercato. Ognuno di essi vuol vendere, vendere il più possibile, e possibilmente vendere solo, escludendo tutti gli altri venditori. L’uno, quindi, vende più a buon mercato dell’altro. Esiste perciò una concorrenza tra i venditori, che ribassa i prezzi delle merci che essi offrono.” Cosa succede se questa merce è la forza-lavoro? L’operaio che vende la propria forza-lavoro, a parità di qualità, più a buon mercato elimina gli altri operai. Tale concorrenza tra operai fa abbassare il prezzo della merce forza-lavoro. Quindi, vi è una diminuzione del salario. “Esiste però anche una concorrenza tra i compratori, che a sua volta fa salire il prezzo delle merci offerte.” Nel caso della forza-lavoro, la concorrenza è tra i capitalisti che tende a far rialzare il prezzo della forza-lavoro (il salario, appunto). Continua Marx: “esiste, infine, anche una concorrenza tra i compratori e i venditori; gli uni vogliono comperare il più che sia possibile a buon mercato, gli altri vogliono vendere il più caro possibile. Il risultato di questa concorrenza tra compratori e venditori dipenderà dal modo come si comportano gli altri due aspetti della concorrenza che abbiamo indicato, cioè dal fatto che la concorrenza sia più forte nel campo dei compratori o in quello dei venditori. L’industria mette in campo l’un contro l’altro due eserciti, ognuno dei quali sostiene una lotta nelle proprie file, fra le proprie truppe. L’esercito nei cui ranghi hanno luogo gli scontri più lievi, riporta vittoria sull’avversario.” Come ogni merce, il suo prezzo corrente di mercato sta sempre al di sopra o al di sotto dei suoi costi di produzione.
Il salario è, quindi, il prezzo della forza-lavoro, ovvero il valore in denaro della forza-lavoro. E aspetto più importante, “il salario non è una partecipazione dell’operaio alla merce da lui prodotta. Il salario è quella parte di merce, già preesistente, con la quale il capitalista si compera una determinata quantità di forza-lavoro.” L’operaio vende la propria forza-lavoro al capitalista per comprarsi, con il salario ricevuto, i mezzi di sussistenza necessari alla soddisfazione sicuramente dei bisogni assoluti e, in certi casi, alla minima soddisfazione di quelli relativi. Dopotutto, “il capitalista può vivere senza l'operaio più a lungo che non l’operaio senza il capitalista.”
Cosa succede se il prezzo di una merce aumenta? Succede, scrive Marx, “che una massa di capitali si getterà nel ramo di industria fiorente, e questa immigrazione di capitali nel campo dell’industria durerà fino a tanto che essa tornerà ai guadagni abituali, o, piuttosto, fino a tanto che il prezzo dei suoi prodotti cadrà, in seguito a sovrapproduzione, al di sotto dei costi di produzione.”
Cosa succede se la merce è la forza-lavoro e il prezzo della forza-lavoro aumenta perché aumenta la domanda di forza-lavoro e feroce diventa la concorrenza tra i capitalisti? Aumenta la domanda di operai, aumentano i salari, ovvero come riporta Marx nei manoscritti, la domanda di operai regola necessariamente la produzione degli operai, come di ogni altra merce. Scrive Marx che “se cresce il capitale, cresce la massa del lavoro salariato, cresce il numero dei salariati; in una parola, il dominio del capitale si estende sopra una massa più grande di individui. E supponiamo pure il caso più favorevole: se cresce il capitale produttivo, cresce la domanda di lavoro [forza-lavoro], e sale perciò il prezzo della forza-lavoro, il salario.” Ma se il prezzo di questa merce particolare che è la forza-lavoro è in crescita, poiché vi è domanda di forza-lavoro, allora siamo in una fase di espansione della produzione e ciò implica maggiori quantità di beni e prodotti finiti che escono dalle fabbriche, dalle aziende. Ciò causa la diminuzione dei prezzi di queste merci tra cui i mezzi di sussistenza e siccome il prezzo della forza-lavoro è in media uguale ai suoi costi di produzione, ovvero alla quantità di mezzi di sussistenza necessari alla vita e alla riproduzione della classe, ciò causa una spinta verso il basso dei salari.
Cosa succede se il prezzo di una merce diminuisce? Succede che una massa di capitali fuggiranno dal ramo di industria in declino, e questa emigrazione di capitali nel campo dell’industria durerà sino a quando il prezzo dei suoi prodotti salirà al di sopra dei costi di produzione.
Cosa succede se la merce è la forza-lavoro e il prezzo della forza-lavoro diminuisce perché diminuisce la domanda di forza-lavoro oppure aumenta l’offerta di forza-lavoro e feroce diventa la concorrenza tra gli operai? Dai manoscritti economico-filosofici del 1844, Marx scrive che “se l'offerta è assai più grande della domanda, una parte degli operai è ridotta all'accattonaggio o muore di fame” e i salari si comprimono. Parallelamente, però, la chiusura parziale della produzione, sia per crisi che determina una diminuzione della domanda di forza-lavoro, sia per un accrescimento della classe operaia che crea un aumento dell’offerta di forza-lavoro, causa l’aumentare dei prezzi dei mezzi di sussistenza e ciò crea una spinta verso l’alto del prezzo della forza-lavoro. Sempre dai Manoscritti: “non è detto che l'operaio guadagni necessariamente quando guadagna il capitalista, però quando questi perde, egli perde necessariamente.”
Nel determinare il prezzo di una merce legandolo ai suoi costi di produzione, seguiamo ciò che Marx spiega abilmente in “Lavoro salariato e capitale”, ovvero che “la determinazione del prezzo secondo i costi di produzione è uguale alla determinazione del prezzo sulla base della durata del lavoro che si richiede per la produzione di una merce, poiché i costi di produzione consistono: 1) in materie prime e strumenti di lavoro, cioè in prodotti industriali la cui produzione è costata una certa quantità di giornate di lavoro, e che rappresentano perciò una certa quantità di giornate di lavoro, e che rappresentano perciò una certa quantità di tempo di lavoro e 2) in lavoro immediato, la cui misura è appunto il tempo. Le stesse leggi generali che regolano il prezzo delle merci, regolano naturalmente anche il salario, il prezzo della forza-lavoro. Il salario ora aumenterà, ora diminuirà, a seconda del rapporto tra domanda e disponibilità, a seconda del modo come si configura la concorrenza fra i compratori di forza-lavoro, i capitalisti, e i venditori di forza-lavoro, gli operai. Alle oscillazioni dei prezzi delle merci in generale corrispondono le oscillazioni del salario. Nei limiti di queste oscillazioni, però, il prezzo della forza-lavoro sarà determinato dai costi di produzione, dal tempo di lavoro che si richiede per produrre questa merce, la forza-lavoro appunto.”
Ma quali sono i costi di produzione della forza-lavoro? “Sono i costi necessari per conservare l’operaio come operaio e per formarlo come operaio.”
Quando Marx discorre di “tasso inferiore, ed anche l’unico necessario, del salario” intende il minimo indispensabile, il salario minimo, che consente la sopravvivenza e la riproduzione della classe operaia. Scrive Marx: “quanto meno tempo si richiede per apprendere un lavoro, tanto minori sono i costi di produzione dell’operaio, tanto più basso è il prezzo della sua forza-lavoro, il suo salario. Nei rami industriali dove non si richiede nessun apprendistato e basta la semplice esistenza fisica dell’operaio, i costi di produzione richiesti per la sua formazione si riducono quasi esclusivamente alle merci necessarie per mantenerlo in vita. Il prezzo della sua forza-lavoro sarà dunque determinato dal prezzo dei mezzi di sussistenza necessari.” E, inoltre, “i costi di produzione del semplice lavoro ammontano quindi ai costi di esistenza e di riproduzione dell’operaio. Il prezzo di questi costi di esistenza e di riproduzione costituisce il salario. Il salario così determinato si chiama salario minimo. Questo salario minimo, come, in generale, la determinazione del prezzo delle merci secondo i costi di produzione, vale non per il singolo individuo, ma per la specie. Singoli operai, milioni di operai non ricevono abbastanza per vivere e riprodursi; ma il salario dell’intera classe operaia, entro i limiti delle sue oscillazioni, è uguale a questo minimo.”
Naturalmente, anche nelle migliori condizioni e situazioni per l’operaio, ovvero quando vi è un aumento, il più rapido possibile, del capitale produttivo, in cui forse il salario reale aumenta, la classe operaia si impoverisce socialmente, ovvero la classe operaia, di cui il singolo operaio ne è comunque parte, accresce e ingrossa la forza nemica: la borghesia. Il salario relativo inesorabilmente diminuisce e la ricchezza che la classe operaia produce (poiché ricordiamo che l’operaio crea tutti i valori) diventa sempre più estranea e domina la classe sempre di più. Aumenta la ricchezza della borghesia mentre sempre e comunque il salario relativo diminuisce, seppur, nelle migliori condizioni, il singolo operaio si vede accresce minimamente il salario nominale e/o reale.
Comunque vada, quindi, a perderci è sempre e comunque l’operaio all’interno dei rapporti sociali di produzione capitalistici, soprattutto se il lavoro è grandemente diviso. Avere una forte divisione del lavoro significa restringere il campo di fuga dell’operaio, ovvero rimane molto “difficile all'operaio dare una direzione diversa al suo lavoro.”
L’operaio è destinato proprio dai rapporti sociali di produzione borghesi a mortificarsi considerando anche la costante evoluzione dei mezzi di produzione e, di conseguenza, delle forze produttive. Abbiamo già accennato in passato come l’accrescimento del grado di sviluppo delle forze produttive, il progresso dei mezzi di produzione, lo sviluppo scientifico e tecnologico portato dentro la produzione, dentro i rapporti sociali di produzione capitalisti porti ad un aumento della quantità di lavoro non retribuita; a un aumento del plus-lavoro che il capitalista si appropria in forma di plus-valore. Ciò determina il semplice fatto che l’attività lavorativa (in tempo di lavoro) da parte dell’operaio è sempre meno retribuita, ovvero crescono le ore di lavoro contrattualmente previste in cui l’operaio lavora senza ricevere alcuna remunerazione. Cresce, quindi, lo sfruttamento, l’oppressione.
Scrive Marx nei Manoscritti che “in generale si deve osservare che là dove l'operaio e il capitalista hanno uguale perdita, l'operaio ci rimette la sua esistenza, il capitalista ci rimette il profitto della sua morta mammona.” Marx, inoltre, considera sia la situazione dell’operaio in una società la cui ricchezza sia in declino, e questa è la situazione peggiore per la classe operaia, sia la situazione dell’operaio in una società la cui ricchezza sia in espansione, e questa è la condizione più favorevole agli operai. In particolare, in quest’ultimo caso, il capitale produttivo in espansione causa una accumulazione di lavoro, ovvero crescono di numero i capitalisti, crescono i loro capitali, cresce la concorrenza tra i capitalisti. Ciò fa crescere la massa di operai occupati. Ma la concorrenza tra i capitalisti porta ad un aumento della forza produttiva del lavoro poiché i capitalisti tenderanno a vendere i loro prodotti in concorrenza a prezzi più bassi rispetto ai concorrenti. Ma la forza produttiva del lavoro può essere aumentata sì con migliori macchine, macchine migliori e nuovi mezzi di produzione più efficienti, ma anche con una maggiore divisione del lavoro. Quindi, la fase espansiva del capitalismo (sempre in regime di libera concorrenza), ovvero nel caso in cui la ricchezza della società borghese sia in crescita, porta ad una maggiore divisione del lavoro. Ma una maggiore divisione del lavoro implica una maggiore semplificazione dell’attività lavorativa, ovvero una diminuzione dei costi di produzione dato che non servono specializzazioni particolari, anzi il lavoro diventa accessibile a qualsiasi operaio, e ciò comporta una diminuzione del salario poiché il salario è il prezzo della forza-lavoro ed essendo la forza-lavoro una merce, il suo prezzo oscilla intorno (ed è in media uguale) ai costi di produzione.
Ricapitolando, quindi. In una società la cui ricchezza sia in crescita, situazione questa più favorevole all’operaio, il capitale produttivo è in espansione e i capitalisti entrano nei rami di produzione in crescita. Ciò crea concorrenza tra i capitalisti e accumulazione di lavoro poiché il capitale è lavoro accumulato. La concorrenza tra i capitalisti avvia un processo di accumulazione del capitale, ovvero molti capitalisti vengono messi fuori mercato dai concorrenti che riescono a produrre gli stessi beni a prezzi più vantaggiosi. In un contesto quindi in cui il pesce grande mangia quello piccolo, questo processo di accumulazione nel campo capitalistico avviene attraverso il costante miglioramento dei mezzi di produzione e una maggiore divisione del lavoro da parte del capitalista. Scrive Marx che “l'accumulazione del capitale aumenta la divisione del lavoro, la divisione del lavoro aumenta il numero degli operai; e reciprocamente, il numero degli operai aumenta la divisione del lavoro, come la divisione del lavoro aumenta l'accumulazione dei capitali. Con questa divisione del lavoro da un lato e con l'accumulazione dei capitali dall'altro, l'operaio dipende in modo sempre più netto dal lavoro, e da un lavoro determinato, molto unilaterale e meccanico.” L’aumento della ricchezza aumenta ma sempre in un numero decrescente di mani.
Scrive Marx che “la concentrazione dei capitali diventa più grande, i grandi capitalisti mandano in rovina i piccoli, e una parte degli ex capitalisti va a finire nella classe degli operai, la quale a causa di questo afflusso torna a subire in parte una depressione del salario e viene a trovarsi in una dipendenza ancor maggiore nei confronti di quei pochi grandi capitalisti; essendo diminuito il numero dei capitalisti, la loro concorrenza in relazione agli operai non sussiste quasi più, ed essendo aumentato il numero degli operai, la concorrenza tra questi è diventata tanto più grande, innaturale e violenta.” Una parte della classe operaia va a finire perciò nella classe del sottoproletariato così come una parte dei capitalisti medio-piccoli va a finire nella classe operaia.
Anche la situazione più favorevole all’operaio, quindi, è in effetti assolutamente deprimente, considerando che l’espansione della divisione del lavoro porta l’operaio ad essere de facto equiparabile a una macchina. Si concretizza sempre di più la concorrenza non solo tra gli operai ma tra gli operai e le macchine. Ciò causa una maggiore dipendenza dell’operaio nei confronti del capitalista, mentre il benessere della società cresce. Inoltre, l’operaio staccandosi sempre più dalle proprie capacità nell’attività lavorativa poiché viene trasformato in macchina appunto, viene spinto sempre più nell’alienazione. Il lavoro dell’operaio diventa un oggetto.
È chiaro da ciò che abbiamo esposto sino a ora come in una società che abbia raggiunto il massimo della ricchezza possibile, sia il salario dell’operaio sia l’interesse sul capitale sarebbero i più bassi possibili. Naturalmente, in un contesto di crescita del lavoro e del capitale che per effetto della concorrenza tra i capitalisti porterebbe tendenzialmente, temporaneamente se vogliamo, ad un aumento dei salari, tale aumento viene assorbito abbondantemente dal capitalista per effetto di una maggiore quantità di ore lavorate senza retribuzione da parte dell’operaio. Ovvero, l’operaio tenderebbe a lavorare di più per conservare la quantità del proprio salario, facendo così concorrenza a se stesso.