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Brevi cenni su Chruščëv e l’inizio della distruzione dello Stato socialista sovietico le cui cause sono indietro nel tempo
di Manuel Santoro
Il gruppo dell’Emancipazione del lavoro di Plekhanov è da considerarsi il primo nucleo che si prese la briga di divulgare e diffondere in Russia i lavori di Marx ed Engels, traducendo anche varie opere, in una Russia devastata dall’autocrazia zarista e dalla ingordigia della classe dei proprietari fondiari, da una parte, e dalla propaganda pseudo-socialista dei populisti, dall’altra. Siamo a metà degli anni ’80 del XIX secolo, esattamente nel 1883. Diciassette anni addietro rispetto all'uscita del primo numero dell’Iskra; trentaquattro anni addietro, il doppio, rispetto alla rivoluzione d’ottobre. [1]
“Quando il gruppo dell’Emancipazione del lavoro impegnò la lotta per il marxismo nella stampa russa all’estero, il movimento socialdemocratico non esisteva ancora in Russia. Era indispensabile innanzitutto aprire la via a questo movimento sull’arena teorica e ideologica. E il più grosso ostacolo ideologico alla diffusione del marxismo e del movimento socialdemocratico era, in quel tempo, costituito dalle concezioni populiste, prevalenti allora tra gli operai d’avanguardia e gli intellettuali di ispirazioni rivoluzionarie” [2].
A metà anni ’80 Plekhanov inizia, quindi, nella Russia zarista ma populista per quanto riguarda la classe lavoratrice e la sua avanguardia, un grande lavoro di educazione teorica marxista che porta al socialismo e allo stato socialista, seppur in divenire, a partire dal ‘17. Dal ’17 al ’21 siamo in piena guerra civile e il neonato Stato socialista si ritrova a dover fronteggiare l’attacco dall’esterno di 14 Paesi capitalistici, in aggiunta alla reazione interna al Paese. Inoltre, rimangono vive le forze revisioniste ed opportuniste che poi emergeranno con Chruščëv. Stalin, dopotutto, lo aveva detto: “è dall’interno che le fortezze si espugnano più facilmente”. La pecca, il peccato originale della successiva dissoluzione dell’Unione Sovietica è che queste forze revisioniste del marxismo-leninismo non siano state sconfitte completamente sul piano teorico e politico.
Con la successione di Chruščëv a Stalin, vince la componente revisionista del PCUS e da lì ha inizio il lavoro di distruzione dello Stato socialista. Distruzione, però, che parte da lontano, e pare chiaro come tali forze “discendano da quelle del vecchio revisionismo dei Bernstein e dei Kautsky e siano le stesse sostenute dalle correnti socialdemocratiche e mensceviche che hanno avversato le idee e la pratica politica di Lenin, prima e dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Sono le stesse idee che, dopo la vittoria di questa, sotto le varie forme dell’opposizione di destra (buchariniani, zinov’evisti) e di pseduo-sinistra (troskisti, socialisti-rivoluzionari) hanno reiteramente tentato di deviare dalla giusta strada le scelte politiche del Partito Bolscevico, l’esercizio del potere proletario nella Repubblica socialista sovietica, e la costruzione del socialismo negli anni Venti e Trenta” [3].
Nota molto saggiamente Adriana Chiaia nella sua prefazione al testo di Ludo Martens “Stalin, un altro punto di vista” [3] che i revisionisti, ad iniziare dai troskisti che per definizione (e questa è una mia convinzione) sono de facto anti-leninisti, propagandano, ovviamente mentendo, la “burocratizzazione” dell’Unione Sovietica facendo “risalire le cause dell’attuale catastrofica situazione dell’ex URSS all’arretratezza atavica della società russa, agli errori, ai limiti della transizione al socialismo, incompiuta. Essi [i revisionisti: menscevichi, socialisti-rivoluzionari, troskisti, ecc.] stabiliscono cioè una continuità, tra il prima e il dopo XX Congresso, invece di individuare in esso un punto di rottura della linea politica difesa dalla Direzione del Partito sotto la guida di Lenin e di Stalin attraverso aspre lotte, linea politica che ha permesso lo straordinario sviluppo dell’Unione Sovietica nel campo economico, politico e culturale e la sua vittoria sul nazismo. Nella loro [sempre dei revisionisti, menscevichi, socialisti-rivoluzionari, troskisti, ecc.] concezione evoluzionistica, essi negano di fatto l’esistenza della lotta di classe durante il socialismo…”. Concetto questo del tutto assurdo per qualsiasi marxista dato che è chiaro in Marx e in Lenin come la lotta di classe continui assolutamente nel socialismo, nella dittatura del proletariato, contro la reazione interna e le forze imperialiste esterne.
Sta di fatto che con la morte di Stalin e l’inizio dell’era revisionista di Chruščëv e soci, negli anni Sessanta e Settanta lo Stato socialista sovietico de facto muore poiché “nel campo teorico e della prassi politica” vi è “la cancellazione del concetto di lotta di classe”, la quale portò all’abolizione della dittatura del proletariato (alias Stato socialista) e “la sua sostituzione con lo <Stato di tutto il popolo> e la mutazione del Partito Comunista, avanguardia della classe operaia, in <Partito di tutto il popolo>”.
Da Plekhanov e la sua eroica lotta contro i populismi sin dalla metà del 1880 grazie all’educazione marxista, passando dall’impronta teorica e politica di Lenin e dal trentennio marxista-leninista staliniano, i sovietici si ritrovano nuovamente nel populismo, anticamera della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Un populismo certamente diverso rispetto ai tempi di Plakhanov ma mille volte più nocivo e più velenoso. Il populismo dei traditori dello Stato socialista sovietico, dei traditori del marxismo-leninismo, e quindi della classe lavoratrice tutta, che ha inizio formalmente con Chruščëv ma che nella realtà cova in seno al partito bolscevico già durante lo zarismo e nel periodo post-revoluzionario per opera dei revisionisti e degli opportunisti: menscevichi, socialisti-rivoluzionari, troskisti, ecc.
[1] Storia del Partito comunista bolscevico dell’URSS, redatto dalla Commissione incaricata dal Comitato Centrale e diretta da Iosif Stalin
[2] M. Santoro, Il populismo si combatte e si vince con il classismo, L’Ideologia Socialista, 25.06.2019
[3] Ludo Martens, prefazione di Adriana Chiaia - Stalin, un altro punto di vista, Zambon