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Dallo Stato Capitalista alla Comunità Socialista. Brevi cenni introduttivi
di Manuel Santoro
La reazione al globalismo elitario, al transnazionalismo del grande capitale era certamente doverosa e auspicabile ma purtroppo si è avviata su un percorso alquanto pericoloso per gli effetti che nell’immediato futuro andremo a testimoniare. La reazione alla furia del capitale e alle crisi di sistema si sta traducendo in Europa in una sorta di revival del nazionalismo, in certi casi, e di un più confuso sovranismo di stampo populista che semina nelle ferite causate dalla ferocia del liberismo globale e raccoglie consensi di pancia e non di testa.
La cosiddetta sinistra riformista, se di sinistra si può parlare, è stata notevolmente ridimensionata dall’elettorato il quale consapevolmente ha compreso il doppio gioco della galassia democratica. Ovvero, da una parte spacciarsi per sinistra, con al seguito uno sparuto nucleo di socialisti cosiddetti riformisti, e dall’altra incentivare, aiutare il globalismo elitario contro gli interessi dei lavoratori e delle classi meno abbienti. Questo doppiogiochismo è stato scoperto, semmai con notevole ritardo, ed ora la fase di un progressismo falso che per anni ha lavorato per un capitalismo umanizzato è terminata.
La questione è che la reazione alla pseudo-sinistra amica dell’establishment e genuflessa agli interessi del capitale si avvia nella direzione sbagliata. Le politiche di impoverimento dei diritti sociali, infatti, insieme al costante aumento del degrado culturale nel Paese e, soprattutto, del progressivo deterioramento del livello educativo delle nuove generazioni, ha consegnato milioni di voti a chi parla alla pancia della gente e non certo alla testa. Il populismo, sia esso di destra che di sinistra, avrà comunque sempre l’effetto di ulteriormente allontanarci da un approccio analitico della politica, dall’analisi critica della società e dai ragionamenti sui processi strutturali e non solo sovrastrutturali.
Se la nostra lotta politica al globalismo è sempre attuale, ora dobbiamo aggiungere una lotta ferma contro i populismi, i nazionalismi e i sovranismi.
Se il populismo è definibile per una vaga e confusa rappresentazione idealizzata del “popolo” in quanto, nella sua totalità, portatore di valori positivi[1], esso si distacca dal socialismo in modo fondativo, lampante poiché manca, come già accennato, di una chiara partizione interna in classi sociali e, quindi, di una presa di posizione politica di tipo classista. Il popolo è la totalità degli individui di uno stesso Paese, di una stessa collettività nazionale, e di conseguenza, non prevede una sua esclusività in senso classista. Non prevede una sua differenziazione con l’élite, poiché anch’essa “parte” del popolo anche se i populisti immaginano che il popolo sia alternativo all’élite. Se, quindi, il popolo è, per definizione, la totalità degli individui di uno stesso Paese o nazione, esso contiene tutte le classi sociali e, certamente, sia i capitalisti che i lavoratori salariati.
A seguire, se nel nazionalismo[2] prevale il ruolo centrale dell’idea di nazione e di identità nazionale, spesso implicitamente inteso come supremazia di una nazione sulle altre, il sovranismo “propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo oppure di uno Stato”[3]. Utilizzando la terminologia classica si potrebbe dire che il sovranismo è comunque sempre un'alternativa borghese allo status quo.
Sul concetto di popolo slegato dalla divisioni in classi sociali abbiamo detto. Sullo Stato enfatizziamo quanto diceva Engels[4] e che Lenin riprese, ovvero, che lo Stato “è piuttosto un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto, non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell’ordine; e questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato”. In definitiva, come riprende anche Lenin[5], “lo Stato è il prodotto e la manifestazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi. Lo Stato appare là, nel momento e in quanto, dove, quando e nella misura in cui gli antagonismi di classe non possono essere oggettivamente conciliati. E, per converso, l’esistenza dello Stato prova che gli antagonismi di classe sono inconciliabili”. In sintesi e in termini generali, il socialismo prevede e necessita il superamento della forma Stato poiché la sua esistenza testimonia la presenza di un conflitto tra classi sociali che il socialismo vorrebbe definitivamente superato verso una società senza classi sociali.
Se lo Stato è il prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo e la sua presenza è la prova di un inconciliabile antagonismo tra classi sociali; se lo Stato esiste soltanto dove esistono antagonismi di classe e dove la lotta di classe tra capitale e lavoro salariato persiste, il superamento dello Stato avviene nella misura in cui avviene il superamento del conflitto tra capitale e lavoro salariato, e ciò avviene nella misura cui il lavoro salariato viene abolito in quanto si trasforma in lavoro “comunitario”. Il processo di abolizione del lavoro salariato è in funzione biunivoca con il processo di abolizione dello Stato. La transizione dal lavoro salariato al lavoro comunitario è direttamente legato e avviene contestualmente alla trasformazione dello Stato in Comunità[6] [7] [8].
Se lo scopo finale del socialismo, come ci ricorda Luxemburg e lo vedremo successivamente, è l’abolizione del salariato, ciò avviene contestualmente alla conclusione del conflitto di classe poiché ormai superato in quanto non più esistente (non essendoci lavoro salariato e, di conseguenza, profitto, capitale). La trasformazione della società, quindi, da capitalista a socialista si conclude definitivamente nel momento in cui l’umanità non è più partizionabile in classi secondo la diade capitale-lavoro salariato, e parallelamente lo Stato si estingue metamoformandosi in Comunità avendo generato l’homo novus[9].
Per quanto arcaica possa sembrare, la lotta dei socialisti per il socialismo è nello scontro politico tra classi, tra i grandi campi nemici, come diceva Marx, che ha un senso compiuto nell’internazionalizzazione della lotta[10] per l’emancipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, e delle classi meno abbienti.
Sono, quindi, due i fattori che contraddistinguono la via al socialismo e ci allontanano da un pallido appiattimento su posizioni sovraniste e populiste de facto anti-socialiste.
Il primo fattore è nel conflitto tra campi, tra oppressi e oppressori, tra chi ha il capitale e chi non ce l’ha. Discutere di élite e di popolo non ha senso se non si chiarisce la loro relazione con il capitale e con il lavoro salariato. Il secondo fattore è nella necessaria internazionalizzazione del conflitto tra i due campi.
Queste due direttrici appena accennate escludono certamente il ricorso al populismo di sinistra il quale non è altro che un escamotage per accaparrare voti senza una chiara coscienza di classe, senza una chiara presa d’atto che si è e si vive nel campo degli oppressi. Inoltre, le due direttrici sopra menzionate escludono altresì il ricorso al sovranismo in quanto l’oppresso non cambia la sua condizione né la sua classe sociale a seconda del Paese in cui risiede oppure a seconda se il suo Paese sia ritenuto più o meno sovrano. Il sovranismo è altro rispetto all’internazionalismo il quale rimane il faro del socialismo.
La nostra via è pertanto tracciata. Il nostro campo di riferimento è quello degli oppressi ovunque essi siano, in solidarietà e in supporto degli oppressi di altre nazionalità, società, comunità.
Se non si parte dalla solidarietà e dalla presa di coscienza di chi si è e in quale campo si conduce la propria vita, non si riuscirà a trovare nel socialismo l’alternativa di struttura alla centralità del capitale, e la pancia dei popoli porterà all’isolamento delle classi meno abbienti all’interno dei confini nazionali, e al trionfo di una élite sempre capitalista e ancora più selvaggia.
[1] Populismo (Treccani): “Termine usato per designare tendenze o movimenti politici sviluppatisi in differenti aree e contesti nel corso del 20° secolo. Tali movimenti presentano alcuni tratti comuni, almeno in parte riconducibili a una rappresentazione idealizzata del ‘popolo’ e a un'esaltazione di quest’ultimo, come portatore di istanze e valori positivi (prevalentemente tradizionali), in contrasto con i difetti e la corruzione delle élite.”
[2] Nazionalismo (Treccani): “Insieme delle dottrine e dei movimenti che attribuiscono un ruolo centrale all’idea di nazione e alle identità nazionali.”
[3] Sovranismo (Treccani): “Posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato.”
[4] F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, 1894
[5] V. Lenin, Stato e rivoluzione, 1918
[6] Il termine Comunità (con la c maiuscola) è da intendersi come alternativa allo Stato, e, di conseguenza, assume un siginificato preciso e diverso rispetto a “comunità", così come indicato nel resto del manoscritto.
[7] Interessante è la distinzione di Ferdinand Tonnies tra comunità e società. Comunità e società, 1878.
[8] Riprendendo i pilastri del lavoro di Tonnies (24), Paolo Giovannini ci indica i tratti principali e le differenze tra comunità e società: “Il termine comunità, in un senso generalissimo, fa riferimento a un insieme più o meno numeroso di persone che vivono in un’area territorialmente definita, dal vicinato alla città, dal borgo alla nazione. Sociologicamente, essa si qualifica per l’esistenza di un senso di appartenenza e di uno spirito di solidarietà tra i suoi membri che trascende in buona misura gli stessi interessi degli individui e delle famiglie.”
“Il termine società, di difficile e confusa definizione, si viene precisando"...”come una realtà sui generis, distinta e superiore all’individuo, che si impone ai suoi membri come fatto sociale fondamentale, a prevalente carattere normativo.”
“Comunità e società sono dunque due tipi di relazione sociale: il primo è caratterizzato da un modo di sentire comune e dal possesso e godimento di beni comuni,”...”il secondo da rapporti razionali tra gli uomini basati sullo scambio e sul contratto." (Comunità e società: una dicotomia non dicotomica, Teorie sociologiche alla prova, Firenze University Press, 2009)
[9] L’homo novus è da considerarsi assolutamente diverso dall’essere umano della società capitalista. Egli è il prodotto naturale della comunità da tutti i punti di vista (sociale, culturale, comportamentale) e, di conseguenza, è da ritenersi oramai completamente responsabilizzato nel gestire il possesso ed il godimento dei beni comuni insieme e d’accordo agli altri membri della comunità.
[10] L’internazionalizzazione della lotta di classe sottointende un forte processo solidaristico tra le classi sociali più deboli delle diverse nazioni (da intendersi tutte, in senso generale).