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Lavoro salariato e capitale. Parte IV
di Karl Marx
Se cresce il capitale, cresce la massa del lavoro salariato, cresce il numero dei salariati; in una parola, il dominio del capitale si estende sopra una massa più grande di individui. E supponiamo pure il caso più favorevole: se cresce il capitale produttivo, cresce la domanda di lavoro, e sale perciò il prezzo del lavoro, il salario.
Una casa, per quanto sia piccola, fino a tanto che le case che la circondano sono ugualmente piccole, soddisfa a tutto ciò che socialmente si esige da una casa. Ma se, a fianco della piccola casa, si erge un palazzo, la casetta si ridurrà a una capanna. La casetta dimostra ora che il suo proprietario non può far valere nessuna pretesa, o solamente pretese minime; e per quanto ci si spinga in alto nel corso della civiltà, se il palazzo che le sta vicino si eleva in ugual misura e anche più, l’abitante della casa relativamente piccola si troverà sempre più a disagio, sempre più scontento, sempre più oppresso fra le sue quattro mura.
Un aumento sensibile del salario presuppone un rapido aumento del capitale produttivo. Il rapido aumento del capitale produttivo provoca un aumento ugualmente rapido della ricchezza, del lusso, dei bisogni sociali e dei godimenti sociali. Benché dunque i godimenti dell’operaio siano aumentati, la soddisfazione sociale che essi procurano è diminuita in confronto con gli accresciuti godimenti del capitalista, che sono inaccessibili all’operaio, in confronto con il grado di sviluppo della società in generale. I nostri bisogni e i nostri godimenti sorgono dalla società; noi li misuriamo quindi sulla base della società, e non li misuriamo sulla base dei mezzi materiali per la loro soddisfazione. Poiché sono di natura sociale, essi sono di natura relativa.
Il salario non è in generale determinato soltanto dalla massa di merci che posso ottenere in cambio di esso. Esso contiene parecchi rapporti.
Ciò che gli operai, anzitutto, ricevono in cambio del loro lavoro, è una determinata somma di denaro. È il salario determinato soltanto da questo prezzo in denaro?
Nel secolo XVI, in seguito alla scoperta dell’America, l’oro e l’argento circolanti in Europa aumentarono. Il valore dell’oro e dell’argento cadde quindi, in rapporto alle altre merci. Gli operai continuarono a ricevere per il loro lavoro la stessa quantità di argento monetato. Il prezzo in denaro del loro lavoro rimase lo stesso, eppure il loro salario era diminuito, poiché, nello scambio, con la stessa quantità di argento essi ricevevano una quantità minore di altre merci. Questa fu una delle circostanze che favorirono l’accrescimento del capitale, lo sviluppo della borghesia nel secolo XVI.
Prendiamo un altro caso. Nell’inverno del 1847, in seguito a un cattivo raccolto, i generi alimentari di prima necessità, frumento, carne, burro, formaggi, ecc., aumentarono notevolmente di prezzo. Supposto che gli operai avessero continuato a ricevere per il loro lavoro la stessa somma di denaro, il loro salario non sarebbe forse diminuito? Senza dubbio. Per lo stesso denaro essi ricevevano in cambio meno pane, meno carne, ecc. Il loro salario era diminuito, non perché fosse diminuito il valore dell’argento, ma perché era aumentato il valore dei mezzi di sussistenza.
Supponiamo infine che il prezzo in denaro del lavoro non muti, mentre tutti i prodotti agricoli e industriali, in seguito all’introduzione di nuove macchine, ad annate più favorevoli, ecc., siano diminuiti di prezzo. Con lo stesso denaro gli operai possono ora comperare più merci di ogni sorta. Il loro salario è dunque aumentato, appunto perché il suo valore in denaro non è cambiato.
Il prezzo in denaro del lavoro, il salario nominale, non coincide quindi con il salario reale, cioè con la quantità di merci che vengono realmente date in cambio del salario. Quando parliamo, dunque, di aumento o diminuzione del salario, non dobbiamo tener presente soltanto il prezzo del lavoro in denaro, il salario nominale.
Ma né il salario nominale, cioè la somma di denaro per la quale l’operaio si vende al capitalista, né il salario reale, cioè la quantità di merci ch’egli può comperare con questo denaro, esauriscono i rapporti contenuti nel salario.
Innanzi tutto il salario è determinato anche dal suo rapporto col guadagno, col profitto del capitalista. Questo è il salario proporzionale, relativo.
Il salario reale esprime il prezzo del lavoro in rapporto col prezzo delle altre merci, il salario relativo, invece, il prezzo del lavoro immediato, in rapporto col prezzo del lavoro accumulato, il valore relativo di lavoro salariato e capitale, il valore reciproco di capitalisti e operai.
Il salario reale può restare immutato, anzi può anche aumentare, e ciononostante il salario relativo può diminuire. Supponiamo, per esempio, che il prezzo di tutti i mezzi di sussistenza sia caduto di due terzi, mentre il salario giornaliero non è caduto che di un terzo, poniamo da tre a due franchi. Quantunque l’operaio con questi due franchi disponga di una maggiore quantità di merci, che non prima con tre, il suo salario però è diminuito in rapporto al guadagno del capitalista. Il profitto del capitalista (del fabbricante, per esempio) è aumentato di un franco, il che vuol dire che per una minore quantità di valori di scambio ch’egli paga all’operaio, l’operaio deve produrre una quantità di valori di scambio maggiore di prima. La parte che va al capitale, in rapporto alla parte che va al lavoro, è cresciuta. La distribuzione della ricchezza sociale fra capitale e lavoro è diventata ancora più disuguale. Il capitalista, con lo stesso capitale, comanda una maggiore quantità di lavoro. Il potere della classe capitalista sulla classe operaia è aumentato; la posizione sociale del lavoratore è peggiorata, è stata sospinta un gradino più in basso al di sotto di quella del capitalista.
Qual è dunque la legge generale che determina l’aumento e la diminuzione del salario e del profitto nel loro rapporto reciproco?
Essi stanno in rapporto inverso. Il valore di scambio del capitale, il profitto, aumenta nella stessa proporzione in cui diminuisce il valore di scambio del lavoro, il salario giornaliero, e viceversa. Il profitto sale nella misura in cui il salario diminuisce, e diminuisce nella misura in cui il salario sale.
Ci si obietterà, forse, che il capitalista può guadagnare per uno scambio vantaggioso dei suoi prodotti con altri capitalisti, per un aumento della domanda della sua merce, sia in seguito all’apertura di nuovi mercati, sia in seguito a un aumento momentaneo dei bisogni dei vecchi mercati, ecc.; che il profitto del capitalista, quindi, può aumentare a scapito di terzi capitalisti, indipendentemente dall’aumento o dalla diminuzione del salario, del valore di scambio del lavoro29; oppure, che il profitto del capitalista può aumentare anche in seguito a un perfezionamento degli strumenti di lavoro, a un nuovo impiego di forze naturali, ecc.
Innanzi tutto, si ammetterà che il risultato resta lo stesso, benché raggiunto per via opposta. Il profitto, infatti, non è aumentato perché il salario è diminuito, ma il salario è diminuito perché il profitto è aumentato. Il capitalista, con la stessa somma di lavoro, ha comperato una maggiore somma di valori di scambio, senza per questo aver pagato di più il lavoro; cioè il lavoro viene pagato di meno in rapporto al beneficio netto che esso procura al capitalista.
Ricordiamo inoltre che, nonostante le oscillazioni dei prezzi delle merci, il prezzo medio di ogni merce, il rapporto secondo il quale essa si scambia con altre merci, è determinato dai suoi costi di produzione. Perciò nel seno della classe capitalista i guadagni straordinari si compensano necessariamente. Il perfezionamento delle macchine, il nuovo impiego di forze naturali al servizio della produzione rendono possibile creare in un dato tempo di lavoro, con la stessa somma di lavoro e di capitale, una maggiore quantità di prodotti, ma non una maggiore quantità di valori di scambio. Se con l’impiego della filatrice posso produrre in un’ora il doppio di filato di quanto non ne producessi prima, per esempio cento libbre invece di cinquanta, in cambio di queste cento libbre non riceverò più merci di quante ne ricevevo prima per cinquanta, perché i costi di produzione sono caduti della metà, oppure perché con gli stessi costi posso produrre il doppio.
Infine, qualunque sia la produzione nella quale la classe capitalista, la borghesia, sia essa di un solo paese o dell’intero mercato mondiale, si ripartisce il beneficio netto della produzione, la somma totale di questo beneficio netto non è altro, in ogni circostanza, che la somma di cui il lavoro accumulato è stato accresciuto, grosso modo, dal lavoro vivo. Questa somma totale aumenta dunque nella proporzione in cui il lavoro accresce il capitale, cioè nella proporzione in cui il profitto aumenta rispetto al salario.
Noi vediamo dunque che, anche se rimaniamo nel quadro dei rapporti fra capitale e lavoro salariato, gli interessi del capitale e gli interessi del lavoro salariato sono diametralmente opposti.
Un rapido aumento del capitale significa un rapido aumento del profitto. Il profitto può aumentare rapidamente soltanto quando il valore di scambio del lavoro, quando il salario relativo diminuisce con la stessa rapidità. Il salario relativo può diminuire anche se il salario reale sale assieme salario nominale cioè assieme al valore monetario del lavoro, a condizione che esso non salga nella stessa proporzione che il profitto. Se, per esempio, in epoche di buoni affari il salario aumenta del 5 per cento mentre il profitto aumenta del 30 per cento, il salario proporzionale, relativo, non è aumentato, ma diminuito.
Se dunque con il rapido aumento del capitale aumentano le entrate dell’operaio, nello stesso tempo però si approfondisce l’abisso sociale che separa l’operaio dal capitalista, aumenta il potere del capitale sul lavoro, la dipendenza del lavoro dal capitale.
Dire che l’operaio ha interesse al rapido aumento del capitale significa soltanto che, quanto più rapidamente l’operaio accresce la ricchezza altrui, tanto più grasse sono le briciole che gli sono riservate, tanto più numerosi sono gli operai che possono essere impiegati e messi al mondo, tanto più può essere aumentata la massa degli schiavi alle dipendenze del capitale.
Abbiamo dunque visto:
Anche la situazione più favorevole per la classe operaia, un aumento quanto più possibile rapido del capitale, per quanto possa migliorare la vita materiale dell’operaio non elimina il contrasto fra i suoi interessi e gli interessi del capitalista. Profitto e salario stanno, dopo come prima, in proporzione inversa.
Se il capitale aumenta rapidamente, per quanto il salario possa aumentare, il profitto del capitale aumenta in modo sproporzionatamente più rapido. La situazione materiale dell’operaio è migliorata, ma a scapito della sua situazione sociale.
Infine:
Dire che la condizione più favorevole per il lavoro salariato è un aumento il più rapido possibile del capitale produttivo, significa soltanto che, quanto più rapidamente la classe operaia accresce e ingrossa la forza che le è nemica, la ricchezza che le è estranea e la domina, tanto più favorevoli sono le condizioni in cui le è permesso di lavorare a un nuovo accrescimento della ricchezza borghese, a un aumento del potere del capitale, contenta di forgiare essa stessa le catene dorate con le quali la borghesia la trascina dietro di sé.